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Eparine nei pazienti Covid-19: perché funzionerebbe?

Le motivazioni cliniche che hanno fatto partire la sperimentazione autorizzata da AIFA sull’impiego delle Eparine nei pazienti Covid-19 con quadro clinico moderato o severo, che coinvolgerà 300 pazienti nella sperimentazione, sono dettate dalle osservazioni di chi, combattendo in prima linea, ha dovuto improvvisare ipotesi terapeutiche e mettere in campo attraverso l’esperienza clinica, armi disponibili per la cura, seppur non specifiche. Sono venute in aiuto dei medici delle “task force covid”, i colleghi anatomopatologi che, con le autopsie fatte sui pazienti deceduti, nonostante l’intubazione, hanno evidenziato complicazioni trombotiche serie nei pazienti infettati e si è cominciato a pensare che queste avessero un ruolo significativo associato alla mortalità.

L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) a seguito dell’esperienza di Whuan (analisi pubblicata su 415 pazienti trattati) dal canto suo aveva già raccomandato l’utilizzo di questi farmaci per prevenire il tromboembolismo venoso nei soggetti infetti da SARS-CoV-2. L’esperienza dei medici cinesi ci dice comunque che non tutti i pazienti potrebbero beneficiare della terapia (in particolare quelli con D-dimero elevato che è una proteina responsabile della formazione di coaguli nei vasi sanguigni).  Ma come funzionerebbe il farmaco all’interno di questo complicato processo innescato dall’infezione? L’eparina simulerebbe come struttura la molecola (eparan solfato) che serve al coronavirus per legarsi alla cellula umana e per poi entrarvi, scatenando la violenta reazione immunitaria provocata dalle citochine (chiamata per questo tempesta chitochinica) causa della fase autoimmune/infiammatoria più pericolosa per la vita del paziente.L’Eparine, nei pazienti Covid-19, attrarrebbero il virus impedendo che questi si leghi alla cellula umana bloccando questo processo.

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