Alcune fonti proteiche, come albume e riso integrale, alterano profondamente la composizione e le funzioni dei batteri intestinali, suggerendo nuovi legami con la salute dell’intestino e possibili implicazioni cliniche
Un nuovo studio pubblicato su The ISME Journal dai ricercatori della North Carolina State University (NC State) mette in luce il profondo impatto che diverse fonti proteiche possono avere sul microbioma intestinale. Questo ecosistema di microrganismi gioca un ruolo fondamentale nella salute dell’organismo e nel metabolismo. Comprendere come la dieta modifichi la sua composizione e funzionalità potrebbe contribuire alla prevenzione e alla gestione di molte malattie gastrointestinali.
Il team, coordinato da Alfredo Blakeley-Ruiz e Manuel Kleiner, ha alimentato gruppi di topi con diete contenenti esclusivamente una fonte proteica alla volta – tra cui albume d’uovo, soia, lievito e anche riso integrale, utilizzato come unica fonte proteica nonostante il suo contenuto proteico relativamente modesto – per una settimana ciascuna. L’obiettivo era osservare come il microbioma intestinale si adattasse a queste variazioni, sia in termini di popolazione microbica che di attività metabolica. Per farlo, i ricercatori hanno utilizzato un approccio integrato di metagenomica e metaproteomica, avvalendosi di spettrometria di massa ad alta risoluzione per analizzare con precisione le modifiche.
I risultati hanno mostrato che ogni variazione nella fonte proteica causava cambiamenti marcati nella composizione del microbioma. In particolare, le diete a base di riso integrale, lievito e albume d’uovo hanno prodotto gli effetti più estremi, non solo alterando le specie presenti, ma anche influenzando il modo in cui queste interagivano con i nutrienti.
Tra gli effetti più rilevanti osservati vi erano cambiamenti nel metabolismo degli amminoacidi – componente chiave delle proteine – e nella capacità dei microbi di scomporre zuccheri complessi legati alle proteine, noti come glicani. Mentre il primo era atteso, il secondo ha sorpreso i ricercatori. Le modifiche più marcate si sono verificate nella dieta a base di albume: un particolare batterio ha proliferato attivando una serie di enzimi capaci di degradare i glicani in modo simile a quanto farebbe con la mucina, una sostanza che protegge il rivestimento interno dell’intestino.
“Questo solleva una questione interessante: se certi batteri iniziano a degradare la mucina, potrebbero compromettere la barriera intestinale e favorire l’insorgenza di disturbi gastrointestinali”, ha osservato Blakeley-Ruiz. Per verificare questa ipotesi, il batterio è stato coltivato in laboratorio, dimostrando che produceva enzimi simili sia in presenza di albume che di mucina.
Un aspetto importante sottolineato dallo studio riguarda il modo in cui i batteri intestinali modificano il proprio comportamento funzionale in risposta alla dieta, e non solo la propria presenza. Secondo Manuel Kleiner, professore associato alla NC State, questo approccio consente di superare la semplice analisi della composizione del microbioma, fornendo un quadro più completo e rilevante in termini clinici.
“In questo lavoro mostriamo non solo quali batteri sono presenti, ma anche cosa stanno facendo”, ha spiegato Kleiner. “Capire quali specie digeriscono determinati composti, come i glicani, può aiutarci a interpretare meglio il legame tra dieta e salute intestinale”.
Nonostante i risultati rilevanti, i ricercatori sottolineano alcuni limiti dello studio. Le diete impiegate erano estremamente semplificate, basate su una sola fonte proteica per volta – una condizione difficilmente replicabile nella vita quotidiana. Ciononostante, i dati ottenuti costituiscono una base utile per approfondire l’effetto di diete più complesse e valutarne le implicazioni in modelli umani.
Lo studio, condotto con il supporto del National Institutes of Health, ha coinvolto anche Alexandria Bartlett, Arthur S. McMillan, Ayesha Awan, Molly Vanhoy Walsh, Alissa K. Meyerhoffer, Simina Vintila, Jessie L. Maier, Tanner Richie e Casey M. Theriot, tutti affiliati alla NC State.
In conclusione, i dati suggeriscono che non tutte le proteine alimentari sono uguali per il microbioma intestinale. Le differenze nella struttura chimica e nei composti associati, come i glicani, possono modificare profondamente l’equilibrio e la funzionalità della flora intestinale. Questa ricerca contribuisce a chiarire come non solo la quantità, ma anche la qualità delle proteine nella dieta possa influenzare profondamente l’equilibrio e le attività del microbioma intestinale, suggerendo che le nostre scelte alimentari potrebbero dialogare con la salute in modi ancora poco esplorati.