Uno studio suggerisce un’alternativa priva di effetti psicoattivi e rischio di dipendenza
Un gruppo di ricercatori della Washington University School of Medicine di St. Louis e della Stanford University sta studiando un nuovo composto, ideato come possibile soluzione al dolore cronico senza ricorrere agli oppioidi. Secondo lo studio, pubblicato sulla rivista Nature, la molecola – ispirata a un analogo presente nella cannabis – sarebbe in grado di alleviare la percezione del dolore senza indurre effetti psicotropi o fenomeni di assuefazione.
L’esperimento, condotto su modelli murini (topi da laboratorio, comunemente utilizzati nella ricerca biomedica per testare nuovi trattamenti), offre indicazioni preliminari sul funzionamento di un farmaco che, in futuro, potrebbe ampliare le opzioni terapeutiche nelle situazioni in cui gli oppioidi rappresentano ancora la soluzione principale, con i relativi rischi di dipendenza.
Gli oppioidi rimangono i farmaci più diffusi ed efficaci nella gestione del dolore cronico di origine oncologica o neuropatica. Tuttavia, il loro utilizzo comporta un’elevata probabilità di dipendenza e può risultare letale se assunto in modo non corretto. Dati ufficiali indicano che, nel solo 2022, si sono registrati negli Stati Uniti circa 82.000 decessi correlati all’abuso di oppioidi, inclusi gli analgesici prescritti e le sostanze sintetiche come il fentanyl. Tale contesto, definito “crisi degli oppioidi,” ha spinto ricercatori e autorità sanitarie a cercare alternative più sicure e dotate di un minore potenziale di abuso.
Secondo Susruta Majumdar, PhD, professore di anestesiologia presso la Washington University e autore principale dello studio, è diventato urgente sviluppare terapie non assuefacenti. “Il composto che abbiamo progettato mira ai recettori analgesici nell’organismo, ma non è in grado di attraversare la barriera ematoencefalica. Di conseguenza, non raggiunge il cervello e non attiva il circuito di ricompensa che caratterizza gli oppioidi,” ha dichiarato Majumdar. Questa caratteristica teoricamente ridurrebbe i rischi di dipendenza, mantenendo al contempo un’azione analgesica efficace.
La cannabis è impiegata da millenni per lenire il dolore, con evidenze da diversi studi clinici. Ciononostante, le proprietà psicoattive dei cannabinoidi, che agiscono sui recettori CB1 nel cervello, ne hanno limitato l’impiego su vasta scala. Il nuovo approccio, frutto di una collaborazione tra la Washington University e la Stanford University, consiste nello sviluppo di una molecola “cannabinoide” modificata con carica positiva. Il risultato ipotizzato è una riduzione del dolore senza alterazioni dello stato mentale.
La sperimentazione è avvenuta su topi con dolore neuropatico ed emicranico, osservando la diminuzione della sensibilità tattile in seguito al trattamento. Gli animali manifestavano un calo rilevante della percezione dolorosa senza segni evidenti di effetti collaterali a livello comportamentale. Un aspetto rilevante emerso riguarda la ridotta insorgenza della tolleranza: nel caso degli oppioidi, spesso l’efficacia si affievolisce nel tempo, obbligando ad incrementare le dosi. La molecola in via di sviluppo non sembrerebbe perdere di efficacia neppure dopo nove giorni di somministrazione ripetuta.
Questa stabilità del comportamento analgesico sarebbe legata alla struttura unica del composto, progettato per legarsi a una “tasca” inusuale del recettore CB1, normalmente non accessibile ai cannabinoidi convenzionali. Secondo il team di ricerca della Stanford University, tale accorgimento chimico potrebbe prolungare la durata dell’effetto e minimizzare il rischio di assuefazione.
Dal punto di vista della formulazione, i ricercatori intendono migliorare la molecola e valutarne la somministrazione in forma orale, con l’obiettivo di avviare studi clinici di Fase 1 su volontari sani e, successivamente, pazienti affetti da dolore cronico. Prima di ipotizzare un utilizzo su larga scala, saranno necessarie ulteriori indagini su sicurezza, farmacocinetica (lo studio di come un farmaco viene assorbito, distribuito, metabolizzato ed eliminato dall’organismo) e possibili interazioni con altri farmaci.
Il lavoro di Majumdar e colleghi si inserisce in un filone di ricerca volto a sviluppare analgesici ad alta selettività periferica, capaci di alleviare il dolore senza alterare le funzioni cerebrali. Questo approccio potrebbe migliorare la compliance del paziente, eliminando il timore di dipendenza o di effetti psicoattivi indesiderati.
La necessità di superare la dipendenza dagli oppioidi e i relativi costi umani e sociali spinge numerosi istituti di ricerca a esplorare nuovi bersagli molecolari e a sfruttare le conoscenze sulle piante medicinali, come la cannabis. Se i risultati di questi esperimenti preclinici verranno confermati in trial su esseri umani, il composto in via di sviluppo potrà rappresentare un potenziale traguardo nel trattamento del dolore cronico. Gli esperti del settore valutano con attenzione i rischi e i tempi necessari affinché tali terapie possano arrivare sul mercato, ipotizzando un percorso che comprenda sperimentazioni cliniche di Fase 2 e Fase 3 per validare pienamente l’efficacia e la sicurezza.
In conclusione, il nuovo composto di ispirazione cannabinoide potrebbe affiancarsi alle strategie standard di gestione del dolore, ponendosi come opzione plausibilmente più sicura rispetto alle terapie oppioidi tradizionali. La conferma degli esiti dello studio su modelli murini in contesti clinici più ampi sarà determinante per capire se tale molecola possa divenire uno strumento effettivo nella lotta al dolore cronico.