La ricerca sul trattamento del dolore guarda avanti e prova ad affiancare, alle tradizionali terapie farmacologiche, una nuova strategia: la meditazione mindfulness. Questo approccio ha recentemente dimostrato una sorprendente efficacia nel ridurre le sensazioni dolorose, superando l’effetto placebo.
Un team di ricerca guidato da Fadel Zeidan, professore di anestesiologia all’Università della California, ha pubblicato su Biological Psychiatry i risultati di uno studio che ha coinvolto un centinaio di volontari sottoposti a un test di stimolazione dolorosa sull’arto inferiore. I partecipanti sono stati divisi in quattro gruppi, ciascuno dei quali ha seguito un diverso intervento durante il test: pratiche di meditazione mindfulness, meditazione di tipo diverso, applicazione di un gel placebo e ascolto di un audiolibro.
I risultati sono stati inequivocabili: i partecipanti che praticavano la meditazione riportavano sensazioni di dolore significativamente minori, e quello che ha fatto la differenza è stata l’analisi delle immagini cerebrali raccolte mediante risonanza magnetica. Questa tecnica ha rivelato che la mindfulness induce risposte neurologiche, intervenendo sui meccanismi cerebrali legati alla percezione del dolore.
Durante la meditazione si incoraggiano i praticanti a concentrarsi sul momento presente, senza giudicare le proprie sensazioni. Questo approccio ha portato a una riduzione della sincronizzazione tra le aree del cervello responsabili della ricezione delle sensazioni dolorose. In sostanza, la mindfulness ha dimostrato di modulare il “segnale del dolore” a livello neurologico, rendendo evidente che il suo effetto non determina semplicemente una risposta psicologica legata al pensiero positivo o alla distrazione, ma induce pure un cambiamento concreto nella reattività dei circuiti cerebrali.
“In passato, la scienza ha spesso confuso l’effetto della meditazione con l’effetto placebo,” ha commentato Zeidan. “Ma questa ricerca dimostra chiaramente che la mindfulness e il placebo inducono risposte cerebrali completamente distinte”.
Le recenti scoperte pongono interrogativi fondamentali sulla gestione del dolore cronico e potrebbero aprire nuove strade per il trattamento. Con un numero crescente di persone che sperimentano il dolore cronico e un’epidemia di dipendenza dai farmaci negli Stati Uniti e in altre nazioni, l’integrazione della mindfulness nella pratica clinica potrebbe rappresentare una svolta.
La pratica della meditazione come strumento antidolorifico non preclude l’utilizzo di farmaci, ma offre un’alternativa valida e supportata scientificamente, che potrebbe accompagnare, integrare se non addirittura sostituire le terapie tradizionali in alcuni casi ben selezionati.
Gli esercizi si possono eseguire in vari contesti, e sono finalizzati ad abbassare i livelli di stress, l’ansia e altri stati emotivi. La meditazione richiede tempo e pazienza, deve avvenire in un luogo relativamente tranquillo, chiudendo gli occhi o abbassando lo sguardo, concentrandosi sul respiro.
Nella vita quotidiana si può praticare mindfulness in luoghi diversi, anche in ufficio, a tavola (prestando attenzione ai sapori, ai colori e alle consistenze degli alimenti), all’aria aperta prendendosi una pausa durante una passeggiata, oppure in casa. Sentimenti e pensieri spontanei vengono recepiti in maniera distaccata, consapevole, imparando a rispondere alle sollecitazioni con un atteggiamento riflessivo, trattenendo un’eventuale propensione a reagire istintivamente.
In un contesto in cui la salute mentale e il benessere sono sempre più riconosciuti per le loro interconnessioni, la mindfulness emerge non solo come pratica spirituale o filosofica, ma anche come risorsa concreta per il miglioramento della qualità della vita, e la riduzione della percezione di stimoli nocicettivi tra quanti soffrono di dolore cronico non neoplastico.