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Tumori ereditari femminili, l’accesso ai test BRCA e HRD fa la differenza

In Italia un caso su dieci di cancro della mammella e carcinoma ovarico nasce da alterazioni trasmesse alla prole. Gli esperti: “Aggiornare i Lea, lanciare idonei percorsi di profilazione delle mutazioni”



La relazione
tra genetica e cancro è uno dei capitoli più affascinanti e complessi della medicina moderna. Da oltre trent’anni la ricerca in oncologia ha dimostrato che una parte dei tumori non dipende da fattori ambientali o da mutazioni casuali, ma riconosce come fattori di rischio precide alterazioni trasmesse all’interno delle famiglie per via ereditaria. Si tratta di varianti genetiche che compromettono i meccanismi di riparazione del Dna, aumentando la probabilità che nel codice di una cellula sana si producano danni irreversibili, fino a dare origine a una cascata di cellule neoplastiche. La scoperta dei geni BRCA negli anni Novanta è stato come un giro di boa: per la prima volta è stato possibile identificare con precisione chi, pur essendo sano, aveva un rischio molto più elevato di sviluppare un tumore della mammella o dell’ovaio. Da allora la genetica è diventata un pilastro della medicina di precisione in oncologia, aprendo la strada a strategie di prevenzione personalizzate, terapie mirate e percorsi di sorveglianza dedicati.

Oggi sappiamo che i tumori ereditari rappresentano una quota minoritaria del totale, ma il loro impatto clinico e sociale è enorme. Riconoscerli precocemente significa salvare vite umane, orientare le scelte terapeutiche e proteggere intere famiglie. Tuttavia, nonostante i progressi nelle conoscenze, l’accesso ai test genetici rimane disomogeneo e spesso insufficiente, con liste d’attesa e differenze regionali che rischiano di compromettere l’efficacia della prevenzione. È in questo contesto che si inserisce il dibattito sull’utilità dei test BRCA e HRD, strumenti fondamentali per identificare un genoma a rischio e prendere le decisioni al momento giusto.

In Italia un caso su dieci di tumore della mammella e dell’ovaio è ereditario. Le due varianti BRCA1 e BRCA2 sono responsabili di circa 4.700 nuove neoplasie ogni anno. Per queste pazienti l’esecuzione tempestiva dei test genetici può fare la differenza. Eppure, più della metà dei casi interpellati lamenta liste d’attesa troppo lunghe per accedere a esami che possono cambiare il decorso della malattia. Le criticità non riguardano solo i tempi: per test come l’HRD, che valuta la capacità delle cellule tumorali di riparare i danni al DNA, l’accesso e la rimborsabilità non sono uniformi sul territorio nazionale, generando disuguaglianze significative.

Il rischio associato alle mutazioni è elevato. La sola presenza della variante BRCA1 aumenta di 37 volte la probabilità di sviluppare un tumore ovarico e di 6 volte quella di sviluppare un tumore mammario. «I test genetici rientrano nella medicina di precisione e rientrano nel grande capitolo della prevenzione» osserva Saverio Cinieri, Past President di Fondazione AIOM. «Non solo: offrono informazioni predittive sulla possibilità di risposta a specifiche terapie anti‑tumorali. Le varianti BRCA indicano una maggiore sensibilità ai trattamenti con inibitori PARP, farmaci che intervengono nella riparazione del DNA nei carcinomi ovarici avanzati. Queste innovazioni vanno sempre garantite, anche se riguardano una piccola quota di tumori femminili ereditari». Cinieri sottolinea anche la necessità di aggiornare i Livelli Essenziali di Assistenza. «I test genetici BRCA dovrebbero essere introdotti nei nuovi LEA, attualmente in fase di discussione. Ci auguriamo che questo provvedimento renda gli esami più accessibili a tutti i cittadini». Il test HRD, invece, non è ancora previsto nel testo dei nuovi LEA, lasciando un vuoto che rischia di penalizzare molte pazienti.

Per colmare il divario informativo e sensibilizzare la popolazione, Fondazione AIOM ha annunciato di aver lanciato la campagna “Tumori Eredo‑Familiari”, un programma realizzato con il contributo non condizionante di AstraZeneca. «È necessaria una maggiore informazione su queste neoplasie» afferma Ornella Campanella, Presidente e Fondatrice dell’associazione aBRCAdabra, che quest’anno celebra dieci anni di attività. «Anche se la frequenza può sembrare bassa, intercettare tempestivamente le persone portatrici e offrire percorsi di sorveglianza o strategie chirurgiche di riduzione del rischio può fare la differenza e battere il cancro sul tempo». La rappresentante del volontariato ricorda come il tema sia entrato nel vivo nel 2013, quando l’attrice Angelina Jolie rese nota la sua scelta di sottoporsi a chirurgia profilattica dopo aver scoperto di essere portatrice di una mutazione BRCA. «A distanza di anni, però, non sempre vediamo una consapevolezza adeguata. È un problema che riguarda non solo le donne, ma anche gli uomini. In Italia oltre 380 mila persone sono portatrici delle due varianti patogenetiche».

Non tutti i portatori di mutazioni svilupperanno un tumore ereditario, ma le condizioni di rischio vanno monitorate e attentamente valutate. Con la campagna si intende promuovere una cultura della prevenzione, che non può basarsi solo sugli stili di vita o sugli screening. Servono controlli qualificati, ed emerge un altro elemento fondamentale: il supporto psicologico. «A queste persone va garantito un sostegno adeguato prima e dopo le cure» sottolinea Gabriella Pravettoni, docente di Psicologia delle Decisioni all’Università di Milano e direttrice della Divisione di Psiconcologia dello IEO, Istituto Europeo di Oncologia di Milano. «Il disagio psicologico colpisce oltre il 50 per cento delle pazienti. Vivere sapendo di essere portatrici di una mutazione genetica può essere angosciante, soprattutto quando si rende necessaria la chirurgia profilattica».

Sul ruolo dell’informazione medico scientifica, che anche noi svolgiamo attraverso i media, è intervenuta Paola Morosini, Medical Affairs Head Oncology di AstraZeneca Italia: «Sosteniamo con convinzione l’iniziativa di Fondazione AIOM. Una corretta informazione e un adeguato supporto psicologico sono aspetti essenziali nella lotta ai tumori eredo‑familiari. L’oncologia è una disciplina in rapida evoluzione e il Paese ha bisogno di iniziative di sensibilizzazione dedicate». La genetica ha cambiato il modo di comprendere e affrontare il cancro. Oggi sappiamo che riconoscere una mutazione può salvare una vita, orientare una terapia, proteggere un’intera famiglia. Ma perché questo potenziale diventi realtà, servono percorsi accessibili, uniformi e sostenuti da una cultura della prevenzione che includa non solo la scienza, ma anche l’ascolto, l’informazione e un incoraggiamento.

Il test HRD, aggiungiamo noi, è un esame molecolare utilizzato in oncologia per capire se un tumore presenta un deficit nella ricombinazione omologa, cioè uno dei principali meccanismi con cui le cellule riparano i danni al DNA. Quando questo sistema perde colpi, le cellule tumorali accumulano più mutazioni, diventano più aggressive ma, paradossalmente, risultano anche più sensibili a specifiche terapie mirate, come gli inibitori di PARP. Il test HRD è particolarmente indicato nel carcinoma ovarico, dove una parte significativa dei tumori presenta alterazioni nei geni coinvolti nella riparazione del DNA, inclusi BRCA1 e BRCA2. Conoscere lo stato HRD di un tumore permette quindi di personalizzare il trattamento e di prevedere meglio la risposta alle terapie. L’esame viene eseguito tramite tecniche di sequenziamento avanzato, come il Next‑Generation Sequencing, che analizzano molte alterazioni genetiche contemporaneamente. In sintesi, il test HRD aiuta a identificare i tumori con difetti nei meccanismi di riparazione del DNA e guida la scelta di terapie più efficaci e mirate.

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