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Adolescenti e sport: perché fanno poca attività fisica? Uno studio indaga le cause del drop out giovanile

Lo sport come strumento di crescita rischia di perdere presa tra i giovani. Una indagine approfondisce le ragioni dell’abbandono e apre la strada a nuove strategie di reinserimento

L’adolescenza è una fase cruciale per lo sviluppo fisico, emotivo e sociale dell’individuo. In questo periodo, l’attività sportiva non rappresenta soltanto un’occasione di svago, ma un vero e proprio presidio di salute e formazione. Numerose ricerche scientifiche hanno dimostrato che lo sport praticato con regolarità in età evolutiva contribuisce a prevenire patologie croniche, favorisce l’equilibrio psicologico, migliora le capacità cognitive e rafforza le competenze relazionali. Eppure, proprio negli anni in cui il corpo cambia e la personalità si definisce, molti ragazzi smettono di fare sport.

Il fenomeno del cosiddetto “drop out sportivo” — l’abbandono dell’attività fisica in età adolescenziale — è oggetto di crescente attenzione da parte di medici, educatori e istituzioni. Le cause sono molteplici e spesso intrecciate: pressioni scolastiche, mancanza di tempo, perdita di motivazione, modelli culturali che non valorizzano lo sport come esperienza formativa. In Italia, come in altri Paesi europei, si osserva una progressiva riduzione della pratica sportiva tra i giovani, con effetti che si riflettono sulla salute pubblica e sul benessere sociale.

Per comprendere meglio le dinamiche di questo fenomeno, il Servizio di Medicina dello Sport e dell’esercizio fisico dell’Azienda Sanitaria dell’Alto Adige, in collaborazione con la Provincia di Bolzano, ha condotto uno studio esplorativo mirato ad analizzare le ragioni dell’abbandono sportivo tra gli adolescenti. L’indagine ha coinvolto 343 studenti tra i 15 e i 17 anni di quattro istituti superiori della provincia, attraverso la somministrazione di un questionario strutturato, elaborato su un campione potenziale di 480 scolari.

I dati raccolti offrono uno spaccato significativo: il 20,4% dei ragazzi e delle ragazze non pratica alcuna attività sportiva, e la quota di praticanti continuativi diminuisce con l’età, passando dal 70% tra i quindicenni a meno del 60% tra i diciassettenni. Le motivazioni principali dell’abbandono sono la mancanza di tempo (41,4%), gli impegni scolastici e altri interessi personali (31,4%), e la perdita di motivazione (30%). Il fenomeno colpisce in modo più marcato le ragazze: il 90% di chi non pratica sport è di sesso femminile.

“È durante l’adolescenza che si gettano le basi per una vita sana, anche per quanto riguarda l’attività fisica e lo sport”, ha sottolineato Hubert Messner, assessore provinciale alla Prevenzione sanitaria e Salute, intervenuto al convegno di presentazione dello studio. A fargli eco, Peter Brunner, assessore provinciale allo Sport: “Lo sport è essenziale per lo sviluppo dei nostri giovani. Promuove il benessere, le competenze sociali e la fiducia in se stessi”.

Nonostante il quadro critico, lo studio evidenzia anche un dato incoraggiante: un terzo degli studenti che ha smesso di praticare sport sarebbe disposto a riprendere l’attività. “Un segnale importante — spiega Laura Rech, Coordinatrice tecnico-assistenziale della Medicina dello Sport e membro del gruppo di ricerca — che apre alla possibilità di percorsi di reinserimento e programmi mirati per riportare i giovani a praticare nuovamente un’attività sportiva. Vorrei cogliere l’occasione anche per ringraziare tutto il gruppo di ricerca per l’ottimo lavoro svolto”.

A portare una testimonianza personale è stato anche Fabian Tait, centrocampista e capitano della FC Südtirol, che ha ricordato come le difficoltà debbano essere uno stimolo per migliorarsi: “Devono essere proprio le difficoltà a spingere uno sportivo a migliorare se stesso, senza ricercare alibi negli altri”. Tait ha condiviso un momento delicato della sua giovinezza, quando perse la madre, sottolineando quanto lo sport possa rappresentare un’ancora di resilienza.

Lo studio conferma che il drop out sportivo non dipende da una singola causa, ma da un insieme di fattori personali, sociali e organizzativi. Per questo, le strategie di contrasto devono agire su più livelli: promuovere attività sportive flessibili, bilanciare tempi di scuola e sport, rafforzare la motivazione e sottolineare il valore educativo e relazionale dello sport. La ricerca rappresenta una base di partenza per futuri approfondimenti, con l’obiettivo di estendere l’indagine all’intera popolazione scolastica provinciale e costruire politiche più efficaci per il benessere giovanile.

In un’epoca in cui la sedentarietà e l’isolamento minacciano la salute delle nuove generazioni, riportare i giovani allo sport non è solo una questione di performance, ma una scelta di civiltà.

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