Uno studio sulla tolleranza immunologica rivela come alcune cellule specializzate proteggano i tessuti sani durante le infezioni
Un gruppo di ricercatori dell’Università di Chicago, in collaborazione con il Massachusetts Institute of Technology (MIT), il National Institutes of Health (NIH), l’University of Illinois Chicago e il Ragon Institute del Massachusetts General Hospital, ha identificato un meccanismo poco noto che protegge il corpo da attacchi autoimmuni. I risultati, pubblicati sulla rivista Science e guidati dal professor Pete Savage, descrivono come un gruppo di cellule T regolatrici (Treg) riesca a evitare che, in corso di infezione, alcune cellule immunitarie attacchino per errore i tessuti sani dell’organismo.
In condizioni normali, il sistema immunitario riconosce e combatte gli agenti patogeni, prevenendo al contempo l’aggressione delle cellule sane. Questo processo è regolato da diversi tipi di cellule, tra cui:
- Cellule dendritiche: Catturano frammenti dell’agente patogeno e li processano, esponendo sulla superficie porzioni proteiche denominate antigeni.
- Cellule T CD4+ (o T helper): Interpretano gli antigeni presentati, avviando la risposta immunitaria se riconoscono un elemento estraneo.
- Cellule T regolatrici (Treg): Agiscono come controllori di qualità, assicurando che le reazioni immunitarie rimangano entro i limiti e non prendano di mira componenti dell’organismo stesso.
Quando le cellule T helper non distinguono correttamente le proteine dell’organismo da quelle di origine esterna, possono attivare una risposta immunitaria contro i propri tessuti. Questo meccanismo è alla base di diverse malattie autoimmuni, tra cui il diabete di tipo 1, la sclerosi multipla e l’artrite reumatoide.
La scoperta dell’Università di Chicago illustra come le Treg, definite spesso “polizia immunitaria”, siano fondamentali per prevenire una reazione ostile contro i tessuti dell’organismo. Secondo l’esperimento descritto, ogni Treg è specializzata nel riconoscere uno specifico peptide prodotto dal corpo e agisce soltanto quando si verifica un rischio concreto di autoimmunità.
Il team ha condotto prove su modelli murini, privando alcuni animali di Treg capaci di riconoscere un peptide della prostata. In condizioni standard, questa sottrazione non causava anomalie.Tuttavia, quando è stata introdotta un’infezione batterica contenente quel medesimo peptide, le cellule T helper si sono attivate in modo anomalo, scatenando un’infiammazione che ha colpito anche i tessuti sani della prostata. Questo fenomeno evidenzia la funzione di “sorveglianza” esercitata dalle Treg, che eliminano o inibiscono le cellule T potenzialmente dannose soltanto quando emerge una minaccia effettiva.
Una nota importante riguarda il modo in cui le cellule T reagiscono contemporaneamente all’infezione e controllano l’autoimmunità. Anche senza la presenza delle Treg specifiche, l’organismo riusciva comunque a contrastare l’infezione, ma non era più in grado di proteggere i propri tessuti dall’attacco del sistema immunitario.
Si pensa che il corpo eviti le malattie autoimmuni eliminando in anticipo, durante la loro ‘educazione’ nel timo (un organo del sistema immunitario situato nel torace), le cellule T che potrebbero attaccare i tessuti sani. Tuttavia, il lavoro guidato dal professor Savage suggerisce un’alternativa: esisterebbe una “corrispondenza uno-a-uno” tra cellule T potenzialmente pericolose e cellule T regolatrici in grado di neutralizzarle. Tale meccanismo permetterebbe un controllo più dinamico, evitando al contempo di sopprimere del tutto le risposte immunitarie utili.
I dati mostrano come la presenza di Treg ben specifiche possa contenere la reattività eccessiva senza privare l’individuo di un sistema difensivo valido. Il professor Savage paragona questo fenomeno a un sistema di doppio controllo: finché le cellule regolatrici “gemelle” sono disponibili, le cellule T helper non provocano attacchi contro i tessuti dell’organismo.
Le nuove scoperte possono condizionare il modo in cui si affrontano diverse patologie autoimmuni. Se si confermasse la possibilità di potenziare o ripristinare popolazioni specifiche di cellule T regolatrici, si potrebbe immaginare un futuro in cui i processi autoimmuni non solo vengano rallentati, ma addirittura invertiti. I ricercatori ritengono inoltre che l’identificazione di questi meccanismi di “controllo selettivo” potrebbe migliorare lo sviluppo di nuove terapie immunoregolatrici, agendo su particolari sottogruppi di Treg.
Queste evidenze potrebbero suggerire vie alternative per intervenire su malattie diffuse come il diabete di tipo 1 o la sclerosi multipla. Coltivare o espandere le Treg adeguate potrebbe ridurre l’infiammazione e proteggere i tessuti colpiti.
Lo studio è frutto di un lavoro sinergico tra l’Università di Chicago, il MIT, il NIH, l’University of Illinois Chicago e il Ragon Institute del Massachusetts General Hospital. Fra gli autori, si segnalano David Klawon (MIT), Nicole Pagane (MIT), Harikesh Wong (Ragon Institute) e Ron Germain (NIH). Il progetto ha ricevuto sostegno dal National Institute of Allergy and Infectious Diseases, dal Chicago Biomedical Consortium, dal Department of Energy degli Stati Uniti e da iniziative dedicate all’applicazione dell’intelligenza artificiale in medicina.
Anche se l’attuale sperimentazione si basa su modelli murini, i ricercatori prevedono di estendere le indagini a sistemi sperimentali più complessi e, in futuro, studiare la trasferibilità delle conclusioni all’essere umano. La comprensione dettagliata di come le Treg si specializzino in riconoscimenti antigenici specifici fornirà un bagaglio di conoscenze utile all’elaborazione di nuove strategie terapeutiche mirate per modulate il sistema immunitario in modo controllato.