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CAR-T contro il neuroblastoma al Bambino Gesù: remissione completa in 4 casi su 10

Lo studio clinico conferma l’efficacia delle cellule ingegnerizzate nel trattamento del tumore pediatrico refrattario o recidivante. Locatelli: “Questa terapia potrebbe diventare parte integrante delle cure standard”

Il neuroblastoma è uno dei tumori pediatrici più insidiosi e difficili da trattare. Colpisce ogni anno in Italia un centinaio di bambini, prevalentemente nella fascia d’età tra 0 e 5 anni, e rappresenta il tumore solido extracranico più frequente in età pediatrica. Nonostante i progressi della scienza, le forme ad alto rischio continuano a presentare una prognosi sfavorevole, con percentuali di sopravvivenza ancora troppo basse. In questo scenario, l’arrivo di una nuova terapia cellulare sviluppata interamente in Italia segna un punto di svolta: le cellule CAR-T GD2, messe a punto dall’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, si dimostrano sicure ed efficaci nel trattamento del neuroblastoma refrattario o recidivante.

Lo studio clinico di fase I/II, pubblicato sulla rivista Nature Medicine, ha coinvolto 54 bambini e ha confermato i dati preliminari già presentati nel 2023 su un campione più ridotto. I risultati sono questi: due pazienti su tre hanno risposto positivamente alla terapia e il 40% ha raggiunto una remissione completa a sei mesi dall’infusione. Ancora più incoraggianti sono i dati relativi ai bambini trattati con un basso carico di malattia, per i quali la risposta globale è stata del 77% e la sopravvivenza a cinque anni ha raggiunto il 68%. Nei pazienti trattati in fase precoce, dopo una o due linee di terapia, la sopravvivenza a cinque anni si è avvicinata al 90%.

“Abbiamo iniziato questo percorso molti anni fa con l’obiettivo di dare una nuova chance di guarigione ai bambini con neuroblastoma”, commenta Franco Locatelli, responsabile del Centro Studi Clinici Oncoematologici e Terapie Cellulari del Bambino Gesù. “I dati pubblicati oggi ci dicono che quella strada era giusta e che siamo sempre più vicini a rendere questa terapia parte integrante delle cure standard. Abbiamo dimostrato che, se somministrata nelle appropriate condizioni, la terapia offre ai bambini affetti da questa grave malattia prospettive di guarigione durature”.

La terapia CAR-T GD2 si basa sull’infusione di linfociti T prelevati dai pazienti stessi e modificati geneticamente in laboratorio per riconoscere e distruggere selettivamente le cellule tumorali. Un approccio altamente personalizzato, che ha mostrato risultati particolarmente positivi anche in fase di consolidamento, ovvero dopo la prima linea di trattamento e in assenza di malattia evidente ma con alto rischio di ricaduta. In questa condizione, sette degli otto bambini trattati sono tuttora liberi da malattia, con un follow-up mediano di 15 mesi.

Un dato di rilievo riguarda i 13 pazienti i cui linfociti T erano stati raccolti già al momento della diagnosi, prima dell’esposizione alla chemioterapia. In questa coorte, la sopravvivenza globale a cinque anni ha raggiunto il 100%, un risultato che apre scenari nuovi per la gestione precoce del neuroblastoma.

“Questi risultati confermano la missione che il Bambino Gesù porta avanti da quarant’anni come IRCCS: coniugare cura e ricerca al servizio dei bambini di tutto il mondo”, afferma Tiziano Onesti, presidente dell’Ospedale. La ricerca sulle CAR-T contro il neuroblastoma è stata sviluppata interamente al Bambino Gesù grazie al sostegno di numerosi enti e programmi di finanziamento nazionali e internazionali. Tra questi, la Fondazione AIRC, il Ministero della Salute, l’Agenzia Italiana del Farmaco, il Ministero dell’Università e della Ricerca, il Ministero delle Imprese e del Made in Italy, il Ministero dello Sviluppo Economico e l’Unione Europea. Contribuzioni specifiche sono arrivate anche dalla Fondazione NB – Neuroblastoma e dal supporto tecnico di BioVec Pharma e dell’MD Anderson Cancer Center.

La strada è ancora lunga, ma il traguardo appare sempre più vicino. La terapia CAR-T GD2 non è solo una promessa: è una realtà che sta cambiando il destino di molti bambini. E che, grazie alla sinergia tra ricerca e assistenza, potrebbe presto diventare uno standard di cura per una delle malattie oncologiche più temibili dell’infanzia.

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