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Diabete, l’intelligenza artificiale anticipa la diagnosi: un primo indizio dai dati sensibili

Uno studio internazionale svela come sensori indossabili e algoritmi predittivi possano rivoluzionare la prevenzione del diabete di tipo 2

Il diabete di tipo 2 è una delle patologie croniche più diffuse e insidiose del nostro tempo. Spesso silenzioso nella sua fase iniziale, può evolvere per anni senza sintomi evidenti, fino a manifestarsi con complicanze gravi e difficili da gestire. La diagnosi precoce è quindi cruciale, ma gli strumenti attualmente impiegati, come il test dell’emoglobina glicata (HbA1c), non sempre riescono a intercettare i soggetti a rischio prima che la malattia si manifesti. In questo contesto, la tecnologia digitale e l’intelligenza artificiale si candidano a diventare alleati fondamentali nella lotta contro il diabete.

Un team di ricerca dello Scripps Research Translational Institute di La Jolla, in California, composto anche da Alumni dell’Università di Padova, ha pubblicato su Nature Medicine uno studio che potrebbe cambiare il modo in cui rileviamo e gestiamo il prediabete. Utilizzando sensori indossabili, monitoraggio continuo della glicemia (CGM), dati sul microbioma intestinale, dieta, attività fisica, genetica e cartelle cliniche elettroniche, i ricercatori hanno sviluppato un modello di intelligenza artificiale capace di individuare segnali precoci di rischio metabolico che i test tradizionali non riescono a cogliere. Questo progetto è stato guidato da Mattia Carletti, primo autore dello studio, con Matteo Gadaleta responsabile del processamento dei dati e Giorgio Quer come co-autore senior e corrispondente. La collaborazione è stata gestita da Riccardo Miotto, oggi in forza a Tempus AI, sponsor dello studio. Tutti i ricercatori provengono dal Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione dell’Università di Padova, a testimonianza dell’eccellenza italiana nel campo della ricerca biomedica e dell’intelligenza artificiale.

Il fulcro dello studio è un trial clinico completamente remoto, condotto su oltre mille partecipanti reclutati attraverso i social media negli Stati Uniti. I soggetti, sia sani che con diagnosi di prediabete o diabete conclamato, hanno indossato per dieci giorni un dispositivo CGM Dexcom G6 per il monitoraggio continuo della glicemia, registrato i pasti, l’attività fisica, il sonno e il battito cardiaco tramite smartwatch, e inviato campioni biologici (sangue, saliva e feci) per le analisi. I ricercatori hanno inoltre avuto accesso alle cartelle cliniche elettroniche dei partecipanti, creando un dataset ricchissimo e multidimensionale.

Uno dei segnali più chiari emersi dall’analisi è stato il tempo di rientro del picco glicemico dopo i pasti: nelle persone con diabete di tipo 2, il ritorno ai valori basali richiedeva spesso oltre 100 minuti, mentre negli individui sani avveniva molto più rapidamente. Questo parametro, invisibile ai test standard, si è rivelato un indicatore potente del rischio metabolico. Lo studio ha inoltre evidenziato che un microbioma intestinale più diversificato e un livello di attività fisica più elevato erano associati a un migliore controllo glicemico, mentre una frequenza cardiaca a riposo più alta correlava con la presenza di diabete.

“Monitorare le dinamiche quotidiane della glicemia offre una visione molto più dettagliata della salute metabolica rispetto ai test statici”, spiegano gli autori. “Picchi frequenti o accentuati, anche se non rilevati dall’HbA1c, possono indicare che l’organismo fatica a gestire lo zucchero in modo efficace”.

Il modello di intelligenza artificiale è stato validato anche su un set indipendente di dati provenienti da pazienti israeliani, raccolti dal Weitzman Institute, rafforzandone la robustezza e il potenziale utilizzo clinico su larga scala. I ricercatori continueranno a seguire i partecipanti per verificare se le previsioni del modello si traducono in una reale progressione clinica della malattia.

Questa ricerca apre scenari nuovi e promettenti: la possibilità di intercettare il diabete prima che si manifesti, personalizzando la prevenzione e intervenendo in modo mirato. L’integrazione tra biotecnologie, dati biometrici e intelligenza artificiale non è più una visione futuristica, ma una realtà concreta che potrebbe trasformare la medicina preventiva. E, ancora una volta, la scienza italiana si conferma protagonista nel disegnare il futuro della salute globale.

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