Il nodo delle carenze di alcuni profili del personale sanitario è centrale nel governo della Salute per le Regioni. Basta pensare al ricorso, in alcuni casi sistematico e irrinunciabile, a profili specialistici (medici e non solo) attinti a cooperative o comunque tramite reclutamenti di personale esterno all’alveo del servizio sanitario nazionale pubblico.
Per affrontarlo le Regioni stanno non solo ragionando sulla riforma della cosiddetta assistenza del territorio ma anche approfondendo i punti da rendere salienti nel confronto, che si annuncia sempre più serrato, con il ministero della Salute. In questo contesto la Conferenza delle Regioni e delle province autonome ha di recente stilato un articolato documento che mette a fuoco tutti i punti da affrontare. Si parte dal miglioramento delle retribuzioni passando per il riordino delle professioni sanitarie, accorpando alcuni dei 31 profili attualmente esistenti, quali presupposti necessari per tamponare le più acute carenze di camici bianchi sul territorio. Tra le altre proposte c’è anche la revisione delle procedure concorsuali, la promozione del welfare aziendale per migliorare i contesti lavorativi e il potenziamento di norme e leggi che regolano la trasformazione digitale del Servizio sanitario nazionale.
“La crisi del personale sanitario rappresenta oggi una delle più gravi minacce alla tenuta del Servizio sanitario nazionale” si legge nella premessa del documento che punta il dito sulle carenze strutturali di infermieri, medici specialisti e professionisti sanitari già evidente prima della pandemia ma tornata acuta negli ultimi anni per effetto dell’invecchiamento della forza lavoro, della crescente complessità della domanda di salute, della ridotta attrattività delle professioni sanitarie e di un contesto formativo e contrattuale frammentato e spesso inadeguato. In assenza di un piano strategico nazionale le Regioni e le Province Autonome “ritengono urgente e necessario definire una posizione condivisa e propositiva con l’obiettivo di stimolare un confronto istituzionale costruttivo e di promuovere misure normative, organizzative e contrattuali coerenti con le reali esigenze del sistema”.
Il documento propone un insieme articolato di proposte strategiche di riforma ed interventi operativi, differenziati per tempi (breve, medio, lungo periodo) e area professionale. Si va dall’adeguamento dei livelli salariali, alla revisione delle procedure concorsuali, alla promozione del welfare contrattuale fino al reclutamento internazionale. Il documento evidenzia la gravità dell’emergenza infermieristica, inserendola nel quadro più ampio della carenza di personale e punta al riordinare delle professioni sanitarie per superare la frammentazione dei profili e promuovere modelli organizzativi più flessibili e multidisciplinari; Richiama infine l’urgenza di accelerare la trasformazione digitale del SSN, valorizzando la tecnologia come leva per migliorare l’efficienza, ridurre il carico burocratico e supportare l’operatività clinica.
Il documento sottolinea inoltre come la medicina generale stia attraversando una fase critica di progressivo disinteresse da parte dei giovani laureati. Le cause sono molteplici: una formazione percepita come meno qualificante rispetto alle specializzazioni universitarie, una borsa di studio meno attrattiva, l’assenza di tutele equiparabili (malattia, maternità) e una crescente burocratizzazione dell’attività, che riduce il tempo clinico effettivamente dedicato al paziente. I dati indicano che l’aumento dei posti nelle scuole di specializzazione universitaria ha avuto un effetto diretto negativo sulle iscrizioni ai corsi regionali di medicina generale (correlazione inversa significativa: ρ = -0,91; p = 0.01), segnalando una competizione non sostenibile tra percorsi formativi.
Le Regioni propongono quindi di valorizzare il ruolo del medico di medicina generale anche attraverso un riconoscimento formativo e contrattuale paritario rispetto agli specialisti, di integrare le attività formative con periodi tutorati nei contesti di emergenza/urgenza, sull’esempio dei modelli già applicati per gli specializzandi, di creare le condizioni giuridiche per il coinvolgimento diretto dei medici ospedalieri – a rapporto esclusivo – nella copertura temporanea delle carenze territoriali, anche in orario aggiuntivo, di stabilizzare le forme di impiego dei medici specializzandi, prevedendone l’inserimento strutturale nei percorsi di assistenza primaria.
Ma vediamo nel dettaglio le proposte avanzate: la valorizzazione economica e professionale è come detto la prima per colmare il divario tra professionisti italiani ed europei. Gli infermieri, in particolare, scontano un deficit del del 20%. L’obiettivo è incrementare in modo stabile la torta dei finanziamenti del Fondo sanitario nazionale ma come è facile intuire tutto ciò non è affatto facile da realizzare nella legge di Bilancio. Una particolare attenzione è riservata alle aree interne e disagiate, dove la difficoltà di attrarre e mantenere personale è maggiore. Pertanto si punta all’introduzione di incentivi economici e di carriera specifici per chi opera in questi contesti.
Passiamo al riordino delle professioni sanitarie: qui la frammentazione professionale del Ssn rappresenta, secondo le Regioni, un ostacolo all’efficienza organizzativa. I 31 profili sanitari attualmente riconosciuti – di cui 23 nelle aree infermieristica, ostetrica, tecnica, riabilitativa e della prevenzione – risultano spesso poco flessibili e scarsamente integrati tra loro viene detto. Il riordino prevede pertanto la revisione e accorpamento dei profili con funzioni simili e la definizione di equipollenze operative di impiego trasversale di alcune figure in un contesto di integrazione multidisciplinare e una maggiore valorizzazione delle competenze.
Digitalizzazione e semplificazione dei processi
Nel solco della Missione 6 del PNRR, le Regioni propongono una piena integrazione della trasformazione digitale con la programmazione del personale. L’obiettivo è duplice: migliorare la qualità dei servizi e alleggerire il carico burocratico sugli operatori sanitari automatizzando i processi ripetitivi (accettazioni, referti, prenotazioni) tramite Robotic Process Automation (RPA), l’uso di strumenti di intelligenza artificiale per il supporto clinico, specialmente nei contesti di alta intensità assistenziale, la diffusione della telemedicina, con un focus sulla teleassistenza infermieristica, fondamentale per la gestione della cronicità, la formazione digitale del personale come prerequisito per evitare che l’innovazione tecnologica diventi un ulteriore onere. Attenzione questa leva è pensata come complementare al lavoro umano, non sostitutiva, e rappresenta un’area strategica per liberare tempo clinico da dedicare ai pazienti.
Reclutamento internazionale strutturato
L’Italia in Europa si presenta con un’attrattività ancora troppo bassa: meno dell’1% dei medici e poco più del 5% degli infermieri in servizio nel SSN provengono dall’estero. Le Regioni propongono l’elaborazione di una strategia nazionale unitaria che superi la frammentazione attuale, ispirata a buone pratiche già sperimentate localmente puntando sulla semplificazione e velocizzazione delle procedure di riconoscimento dei titoli (attualmente competenza del Ministero della Salute), l’introduzione di accordi bilaterali per il reciproco riconoscimento automatico dei titoli sanitari, la creazione di percorsi di accoglienza linguistica e culturale, la definizione di standard minimi di integrazione organizzativa e di governance pubblica forte. L’intento non è sostituire la formazione nazionale, ma affiancarla, soprattutto in risposta alle urgenze locali e per i profili più carenti, come quello infermieristico.
Attrattività e retention del personale nel SSN
L’ultima direttrice si concentra su un insieme integrato di politiche per migliorare l’attrattività delle professioni sanitarie e ridurre il turnover. Le Regioni propongono un ventaglio di misure che comprendono: aggiornamento delle procedure concorsuali per snellire i tempi di reclutamento, modelli contrattuali flessibili (es. part-time, libera professione nel pubblico, job sharing), azioni per il benessere organizzativo, come il monitoraggio del clima lavorativo, la prevenzione del burnout e il supporto alla leadership inclusiva, welfare contrattuale rafforzato, con servizi di conciliazione lavoro-vita privata e sostegno alla genitorialità, carriere differenziate e percorsi professionalizzanti, soprattutto per gli infermieri, attraverso l’incentivazione di lauree magistrali cliniche e la specializzazione