Tra le malattie epatiche ci sono quelle autoimmuni che sono diverse e sono accumunate dal fatto che un’alterazione del sistema immunitario individua ed aggredisce le cellule del fegato e si verifica un’infiammazione cronica e progressiva del fegato e dei dotti biliari che conduce alla morte delle cellule (necrosi) e alla formazione di cicatrici (fibrosi).
Siccome sono a bassa prevalenza (meno dell’1% nella popolazione europea), sembrano attirare meno attenzione delle malattie epatiche a prevalenza maggiore, e quindi meno risorse dedicate a diagnosi e cure e, soprattutto, alla creazione di reti di specialisti che possano mettere in “comunione” le varie esperienze.
I pazienti di queste malattie epatiche chiamano a gran voce … in primis le attenzioni dei medici curanti, che dovrebbero essere formati per poter agire da sentinelle ed individuare precocemente queste malattie.
Le associazioni dei pazienti di malattie epatiche reclamano poi le “reti”, che non servono a pescare i malati nel mucchio ma a creare le dovute sinergie tra specialisti, e tra specialisti e medico di famiglia, per migliorare le diagnosi e per individuare e creare i percorsi terapeutici migliori.
Tutte queste malattie epatiche se non diagnosticate e non curate adeguatamente progrediscono in termini di severità clinica sino alle fasi di cirrosi scompensata del fegato e al cancro al fegato.
Nonostante esistano dei test di laboratorio e di diagnostica per immagini molto sensibili e specifici per la loro diagnosi, le malattie epatiche autoimmuni sono sicuramente sotto-diagnosticate se non nei casi di presentazione clinica, come l’epatite acuta.
Nonostante oggi disponiamo di terapie efficaci per curare quasi tutte le malattie epatiche autoimmuni, la percentuale di trapianti epatici eseguiti a causa di queste malattie non è diminuita negli ultimi 10 anni, attestandosi in Europa al 10%.
Il coinvolgimento e la sensibilizzazione del medico di medicina generale per la diagnosi precoce delle malattie autoimmuni del fegato è di primaria importanza, poiché nella maggior parte dei casi queste malattie per lungo tempo rimangono asintomatiche e possono essere sospettate solo sulla base della alterazione dei test di funzione epatica.
In Sicilia, sulla scorta dell’esperienza e al successo della rete costituita per l’HCV, si è attivata già alla fine del 2020, una rete, la Sintesi PBC, Sicilian Network for Therapy, Epidemiology and Screening in Hepatology. Per Vincenza Calvaruso, Professore Associato Sezione Gastroenterologia Università degli studi di Palermo, “La rete è uno strumento fondamentale per condividere le strategie, per ottimizzare le risorse, per accrescere la consapevolezza delle malattie, per avere dati sull’epidemiologia e consentire più equità nell’accesso a diagnosi e cure”.
Secondo Ignazio Grattagliano, Presidente SIMG Bari, è vero che la Sicilia ha avviato una rete che per certi versi sta funzionando, ma deve essere implementata e devono collegarsi molti medici di medicina generale che sono lontani ancora dalla rete. È una realtà che va strutturata, perché attualmente è ancora basata su meccanismi di volontariato, altrimenti si rischia di perderla nel tempo. Poi potrà essere diffusa in altre regioni italiane ricollocandola in base alle realtà diverse.
Secondo Pietro Invernizzi, Direttore ASST San Gerardo di Monza, Professore presso il Dipartimento di Gastroenterologia dell’Università Bicocca di Milano i medici di medicina generale hanno il grande compito di fare da screening, di identificare il sommerso.
Le malattie epatiche autoimmuni rappresentano un problema sanitario su cui la medicina sta facendo grandi progressi, ma è fondamentale la diagnosi precoce e lo sviluppo di una presa in carico adeguata per orientare i pazienti verso i setting organizzativi e i trattamenti più appropriati, secondo un modello integrato tra ospedale e territorio. Questo il pensiero di Franco Ripa, Dirigente Responsabile Programmazione Sanitaria e Socio-sanitaria Vicario Direzione Sanità e Welfare Regione Piemonte.