Exercise is Medicine: l’esercizio è parte integrante della terapia in campo clinico ma nelle lettere di dimissioni del paziente non è mai menzionato. Gli esperti presenti al Congresso della European Initiative for Exercise in Medicine (EIEIM) di Padova hanno evidenziato questo aspetto ma hanno anche presentato le innovazioni in campo di imaging quando di parla di patologie che riguardano cuore e polmoni.
“Ormai si è arrivati al punto di capire che l’esercizio dovrebbe far parte della terapia, ma nella routine clinica non è ancora arrivato. Penso che la maggior parte dei medici sono arrivati alla conclusione che l’esercizio sia parte della terapia anche se nella routine o nella pratica quotidiana non si vede e nelle lettere di dimissione dei pazienti non è mai menzionato”. Queste le parole di Matthias Wilhelm, Direttore del Centro di Cardiologia preventiva e Medicina dello sport dell’ospedale Universitario di Berna, al X Congresso della European Initiative for Exercise in Medicine (EIEIM) di Padova. Il professor Wilhelm durante i lavori congressuali si è focalizzato sulla fase di recupero post esercizio, in particolare su Heart Rate Recovery e cinetiche del consumo di ossigeno, entrambi associati all’outcome cardiovascolare e poi ha spiegato, appunto, come viene percepito l’esercizio dai medici nella gestione del rischio cardiovascolare globale.
Polmoni e cuore sono sotto osservazione quando c’è di mezzo l’esercizio fisico. Ne ha parlato Marco Guazzi, Direttore della Divisione di Cardiologia dell’ospedale San Paolo di Milano, che ha spiegato le potenzialità dell’ecocardiografia nella misurazione della gittata cardiaca durante esercizio.
“L’utilizzo di metodiche di imaging associato al test cardiopolmonare danno informazioni aggiuntive e importanti. Recentemente, negli ultimi 5-10 anni, diversi laboratori a livello mondiale – ha spiegato il professor Marco Guazzi – hanno associato l’utilizzo dell’ecocardiografia in un contesto di diagnosi e di fisiologia con scambio dei gas e fondamentalmente l’ecocardiografia permette di verificare oltre al consumo di ossigeno dato dallo scambio di gas, quale tipo di organo oppure, a livello cardiaco, quale tipo di meccanica cardiaca possa dare la disfunzione. In particolare con l’imaging possiamo riconoscere la disfunzione sistolica e diastolica e l’apporto in termini di valvole all’inefficienza aerobia o all’inefficienza ventilatoria. Abbiamo dunque la possibilità di percorrere patologie diverse a stadi diversi avendo delle misure emodinamiche che non necessitano la misura invasiva mediante catetere”.
Per quanto riguarda l’importanza del test cardiopolmonare per la comprensione della fisiopatologiae per l’efficacia di svariati tipi di interventi, il professor Guazzi ha spiegato: “Il test cardiopolmonare è un test che si applica in tutte quelle condizioni in cui c’è una patologia del cuore e dei polmoni e nella muscolatura periferica. I principali utilizzi nell’ambito cardiovascolare, che vanno dall’atleta in cui si valuta la performance massima, al paziente con insufficienza cardiaca che va verso il trapianto cardiaco, sono utilizzi che si applicano in patologie quali la cardiopatia ischemica, le cardiomiopatie, piuttosto che le patologie valvolari o l’ipertensione polmonare. Ogni patologia ha una caratterizzazione specifica con pattern ventilatori di scambio dei gas che riportano ad un aspetto diagnostico pur essendo il test non diagnostico ma implementando il fenotipo di ogni patologia l’evoluzione, soprattutto dando dei dati parametri pronostici molto rilevanti”.
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