Mercoledì 20 gennaio 2021 – La tosse è uno dei sintomi più fastidiosi perché può celare di tutto, una raceudine da colpo di freddo, tonsilliti, faringiti, un reflusso gastroesofageo, una fibrosi interstiziale, un’allergia respiratoria.
Oggi, in epoca di pandemia, un colpo di tosse mette subito in allarme, perché rientra tra le manifestazioni che accompagnano il Covid-19. C’è poi la tosse del fumatore di sigarette, tutta un’altra cosa.
Ora esiste una fascia di popolazione dove la tosse si trascina senza causa apparente, e che chiede risposte. Circa il 10% della popolazione mondiale adulta, secondo le stime, soffre di questa condizione che, a lungo andare, può portare insonnia, depressione, ansia, perdita di autostima.
Come orientarsi? “Quando parliamo di tosse cronica – ha spiegato Luca Richeldi, presidente della Società Italiana di Pneumologia, nel corso di un incontro promosso da MSD – si fa riferimento a una tosse che persiste per più di otto settimane.
Nella sua variante refrattaria, perdura nonostante i trattamenti. Si parla, invece, di tosse cronica idiopatica quando il disturbo rimane senza spiegazione, anche quando il paziente viene sottoposto a tutte le indagini suggerite dalle linee guida.
La tosse cronica idiopatica, dove cioè si ignora la causa, interessa una percentuale compresa tra il 5% ed il 10% delle persone che si rivolgono al medico per un problema di tosse cronica.
“Già prima della pandemia – ha precisato Filomena Bugliaro, coordinatore rete Federasma Allergie Onlus – assistevamo a scene in cui le persone con la tosse erano fisicamente isolate.
Tutto questo ormai è sempre più esasperato”. Oggi si ritiene che un’attivazione eccessiva dei recettori P2X3 disseminati lungo l’apparato respiratorio, con ipersensibilizzazione dei neuroni sensoriali collegati a queste stazioni, sia all’origine dei casi di tosse cronica refrattaria o idiopatica.
La reazione innescata da lesioni o infezioni può innescare questo stimolo eccessivo e persistente. Da queste premesse, aggiungiamo noi, la moderna farmacologia è partita per concentrarsi nella ricerca di molecole antagoniste selettive del recettore P2X3.
E dopo anni di studi siamo finalmente arrivati a trial clinici di fase III che hanno portato a concepire terapie efficaci, da somministrare per via orale, che affrontano e risolvono il problema.