Uno studio americano mostra che vista, udito, tatto e gusto attivano le stesse aree profonde del cervello, contribuendo a chiarire come nasce la coscienza
Un gruppo di neuroscienziati della Yale School of Medicine ha scoperto che i segnali provenienti da diversi sensi, come la vista, l’udito, il tatto e il gusto, attivano le stesse regioni profonde del cervello legate alla coscienza. I risultati, pubblicati sulla rivista NeuroImage, suggeriscono che tutti i sensi, se coinvolti in uno stato di attenzione, stimolano in modo coordinato due aree cerebrali fondamentali: la formazione reticolare del mesencefalo, che regola lo stato di veglia e il livello di vigilanza, e il talamo centrale, snodo cruciale per l’elaborazione e l’integrazione delle informazioni sensoriali.
Lo studio, guidato dalla ricercatrice Aya Khalaf, ha analizzato i dati di risonanza magnetica funzionale (fMRI) provenienti da 1.561 adulti sani mentre eseguivano una serie di undici compiti sensoriali. I partecipanti sono stati esposti a stimoli visivi, uditivi, tattili e gustativi, e la loro attività cerebrale è stata monitorata per individuare quali aree venissero attivate in risposta a ciascun senso. I ricercatori si aspettavano un coinvolgimento di più reti neuronali, ma sono rimasti sorpresi nel constatare che, indipendentemente dal tipo di senso stimolato, le stesse regioni sottocorticali si attivavano quando l’attenzione dei soggetti era particolarmente concentrata.
“Ci aspettavamo di trovare alcune sovrapposizioni nelle reti cerebrali, ma non ci aspettavamo che tutti i sensi convergessero sulle stesse aree profonde durante stati di attenzione”, ha dichiarato Khalaf, ricercatrice post-dottorato in neurologia presso Yale e prima autrice dello studio.
La formazione reticolare e il talamo sono strutture note per il loro ruolo nel regolare il ciclo sonno-veglia e negli stati di coscienza. Già in passato erano stati coinvolti in studi su pazienti con disturbi gravi della coscienza, come coma o epilessia. Tuttavia, questa è la prima volta che viene dimostrato un legame così diretto e simultaneo tra stimoli multisensoriali e attività in queste aree, in condizioni di attenzione attiva.
Il dato più interessante riguarda l’importanza dei cambiamenti di attenzione. Gli stimoli che richiedevano uno spostamento dell’attenzione da un senso all’altro risultavano essere quelli più efficaci nel sollecitare le aree profonde. “Abbiamo scoperto che il cambiamento repentino dell’attenzione è il fattore chiave per attivare questi centri neurali, più ancora del tipo di stimolo in sé”, ha spiegato Khalaf.
Questo tipo di attivazione condivisa suggerisce che il cervello integra le informazioni sensoriali non solo a livello corticale, come già noto, ma anche in regioni più profonde e primordiali del sistema nervoso centrale. Queste regioni potrebbero rappresentare un nucleo fondamentale nella generazione della coscienza, e la scoperta potrebbe contribuire a chiarire perché alcuni pazienti in coma rispondano ancora a certi stimoli sensoriali.
L’autore senior dello studio, Hal Blumenfeld, professore di neurologia, neuroscienze e neurochirurgia presso Yale, ha sottolineato l’importanza della scoperta anche in ambito clinico: “Queste aree non regolano solo stati estremi come la coscienza o il coma, ma sono probabilmente coinvolte anche in condizioni più comuni, come i disturbi dell’attenzione e la difficoltà di concentrazione”.
Secondo gli autori, la ricerca potrebbe in futuro contribuire allo sviluppo di nuovi approcci terapeutici, tra cui stimolazioni cerebrali non invasive o trattamenti farmacologici mirati, per persone affette da disturbi come il deficit di attenzione e iperattività (ADHD), oppure condizioni neurologiche che alterano la coscienza.
“Sapere che l’attività multisensoriale stimola aree profonde del cervello quando una persona è attenta, ci fornisce una chiave per comprendere meglio anche il funzionamento normale della mente”, ha detto Blumenfeld.
Lo studio è stato condotto in collaborazione con altri autori, tra cui Erick Lopez, ex ricercatore nel laboratorio di Blumenfeld, e ricercatori della Harvard Medical School. Il progetto è stato finanziato in parte dai National Institutes of Health (NIH), l’ente federale statunitense dedicato alla ricerca biomedica.
“Questa è la prima volta che vediamo una convergenza così netta e costante tra sensi diversi nelle stesse aree cerebrali, e potrebbe diventare una base importante per future ricerche cliniche sulla coscienza”, ha concluso Khalaf.
I risultati, oltre a fornire un quadro più chiaro dell’organizzazione cerebrale dei sensi, aiutano a comprendere come la mente umana elabori simultaneamente stimoli provenienti da più fonti e mantenga la consapevolezza del proprio ambiente. Capire come i sensi si integrano a livello profondo potrebbe aiutare a intervenire meglio nei casi in cui la coscienza risulta alterata o compromessa.