Sviluppato da ricercatori statunitensi e svizzeri, il dispositivo si adatta al tronco encefalico e potrebbe offrire un’alternativa efficace per le persone non udenti a causa di neurofibromatosi di tipo 2 e altre gravi anomalie dell’orecchio interno
Un nuovo tipo di impianto uditivo del tronco encefalico (ABI) potrebbe rappresentare una promettente alternativa terapeutica per le persone non udenti che non possono beneficiare degli impianti cocleari tradizionali. Questo è quanto emerge da uno studio pubblicato sulla rivista Nature Biomedical Engineering, frutto di una collaborazione tra il Massachusetts Eye and Ear, parte del sistema sanitario Mass General Brigham, e l’École Polytechnique Fédérale de Lausanne (EPFL) di Ginevra, in Svizzera.
Gli ABI vengono utilizzati nei pazienti che, a causa di condizioni come la neurofibromatosi di tipo 2 (NF2) o di gravi malformazioni dell’orecchio interno, non possono ricevere un impianto cocleare. Questi dispositivi bypassano le strutture uditive danneggiate e stimolano direttamente il tronco encefalico, in particolare il nucleo cocleare, per ripristinare una certa forma di percezione sonora.
Tuttavia, i dispositivi attualmente in uso presentano dei limiti. La loro struttura rigida non si adatta perfettamente alla superficie curva del tronco encefalico, compromettendo la qualità della stimolazione e la nitidezza del suono percepito. Inoltre, l’uso prolungato può causare fastidi fisici, scoraggiandone l’impiego continuativo.
Il nuovo ABI sviluppato dai ricercatori del Mass Eye and Ear e dell’EPFL propone un approccio completamente diverso. Realizzato con materiali morbidi e flessibili come il platino e il silicone, è costruito con una tecnica a film sottile che consente di modellare il dispositivo in modo da seguire con precisione la conformazione del tronco encefalico. Questo consente un contatto più stabile con le aree nervose da stimolare, migliorando la precisione della trasmissione dei segnali elettrici e potenzialmente anche la qualità dell’esperienza uditiva.
La nuova generazione di dispositivi è stata testata in un modello preclinico: due macachi hanno ricevuto l’impianto e sono stati sottoposti per diversi mesi a test comportamentali volti a valutare la capacità di distinguere diversi pattern di stimolazione. I risultati hanno dimostrato che gli animali erano in grado di rispondere coerentemente ai diversi stimoli, suggerendo una percezione uditiva più dettagliata rispetto a quella ottenuta con i dispositivi tradizionali.
“Sebbene gli impianti cocleari cambino la vita di molte persone, esiste ancora un gruppo di pazienti per cui la tecnologia attuale non è sufficiente. La nostra ricerca getta le basi per un futuro impianto uditivo del tronco encefalico che potrebbe migliorare i risultati uditivi e ridurre gli effetti collaterali nei pazienti sordi che non traggono beneficio dall’impianto cocleare”, ha dichiarato Daniel J. Lee, otorinolaringoiatra e coautore senior dello studio.
La ricerca rappresenta il risultato di oltre dieci anni di analisi congiunte tra istituzioni accademiche di eccellenza e si inserisce in un filone di indagine che mira a rendere la neurostimolazione più efficace e personalizzabile. La speranza dei ricercatori è che, con ulteriori studi clinici, questi ABI flessibili possano essere adattati anche all’uso umano e offrire un’opzione reale per chi oggi dispone di pochissime soluzioni terapeutiche.
Oltre a migliorare la percezione uditiva, gli impianti flessibili potrebbero ridurre il rischio di effetti collaterali associati all’utilizzo di materiali rigidi e potrebbero garantire una maggiore durata e una migliore aderenza anatomica. Questo aspetto non è secondario, poiché l’interazione tra il dispositivo e il tessuto nervoso è cruciale per ottenere risultati efficaci nel lungo periodo.
La particolare struttura flessibile e miniaturizzata del nuovo sistema potrebbe garantire una percezione sonora più definita e naturale, migliorando così la qualità della vita delle persone non udenti. I ricercatori intendono ora valutarne l’efficacia anche in studi clinici sull’uomo.
Lo studio si inserisce in un panorama in rapida evoluzione nel campo delle neuroprotesi, con l’obiettivo di sviluppare dispositivi sempre più compatibili con il corpo umano, meno invasivi e in grado di offrire prestazioni sensoriali più elevate.