Le modifiche al Dna causate dalla violenza sulle donne potrebbero essere ancora più estese di quanto emerso finora dagli studi scientifici, e scoprire fino a che punto si estendono e per quanto tempo perdurano queste ‘cicatrici’ potrebbe essere la chiave per fare una prevenzione ‘di precisione’, che limiti al massimo l’insorgenza di patologie che potrebbero avere origine da un trauma o da una violenza subita.
A questo scopo è iniziata la fase multicentrica del Progetto EpiWe, che è stata presentata oggi durante il “Convegno del Progetto multicentrico EpiWE, epigenetica della violenza sulle donne: verso una prevenzione di precisione” che si è tenuto nella sede dell’Iss.
Lo studio pilota EpiWE (Epigenetics for Women), condotto dall’Istituto Superiore di Sanità (Iss) in collaborazione con l’Università di Milano, ha già messo in evidenza che la violenza è in grado di modificare mediante modificazioni epigenetiche la funzionalità del Dna delle donne che l’hanno subita, in particolare alterando tre geni. La ricerca prevede, ora, il coinvolgimento di altri centri per aumentare la numerosità campionaria e per valutare nel tempo, la possibile variazione dell’intero epigenoma delle pazienti, anche attraverso la raccolta di campioni biologici attraverso una biobanca dedicata. Al momento del prelievo, e nei richiami del follow-up, i campioni biologici saranno corredati con una serie di dati sul benessere psicofisico, con particolare riguardo alle patologie stress correlate.