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Violenza in corsia, in Campania aumentano del 22% le aggressioni agli operatori sanitari

Ascione (Psicoterapeuta): ripensare la relazione di cura.

Inserire nei curricula di formazione di medici e operatori sanitari moduli obbligatori su comunicazione, gestione emotiva e psicodinamica della relazione, istituire supervisioni psicologiche continuative nei contesti ospedalieri e territoriali, promuovere la medicina narrativa come strumento di simbolizzazione. E poi ancora introdurre protocolli post aggressione con debriefing emotivo per i curanti e infine agire sull’educazione dell’utenza da sensibilizzare tramite campagne pubbliche sul rispetto e la relazione umana nella cura. E’ questa la ricetta che Annamaria Ascione, psicologa psicoterapeuta suggerisce per ridurre l’incidenza delle aggressioni in corsia che in Campania – nonostante l’istituzione dei drappelli di polizia nei principali pronto soccorso, la registrazione con telecamere nei luoghi di attesa e di accesso, l’inasprimento delle pene varato dal governo nazionale – continua a registrare dati in aumento di eventi di questo genere (più 22% nell’ultimo anno. La questione sarà affrontata in una un articolato confronto programmato per il 27 settembre presso la sede dell’Ordine dei medici e Odontoiatri di Napoli e provincia dedicato al tema del rispetto di chi cura: ovvero comunicare, proteggere, educare. Un tentativo di dare risposte alla violenza verso il personale sanitario.
“La relazione medico-paziente è un luogo sacro di incontro tra fragilità e competenza – avverte Ascione – quando questa relazione si spezza, entrambi gli attori ne escono danneggiati. Serve una rivoluzione culturale che rimetta al centro l’umanità del curante e il valore trasformativo dell’ascolto, oltre a delle vere e proprie misure strutturali per prevenire e gestire il rischio di aggressione ai danni degli operatori sanitari”.
La Ascione è membro del Comitato tecnico scientifico di ASSIMEFAC (Associazione e Società Scientifica nazionale di Medicina di Famiglia e comunità) e socio dell’Associazione italiana per lo studio del dolore (AISD).
Nella sua relazione la dottoressa Ascione affronta la relazione medico-paziente nell’epoca della sfiducia con un approccio psicoanalitico. Si parte dunque dall’analisi del dato relativo all’aumento delle aggressioni fisiche e verbali agli operatori sanitari registrato negli ultimi anni in tutta Europa. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stima che circa il 30-35% degli operatori sanitari a livello globale abbia subito almeno un episodio di violenza verbale o fisica durante la propria carriera con un incremento esponenziale post-pandemia, specie nei pronto soccorso e nei servizi psichiatrici. In Italia, l’Osservatorio nazionale sulla sicurezza degli esercenti leprofessioni sanitarie (Ministero della Salute, Relazione 2024) ha registrato oltre 18.000 aggressioni segnalate, oinvolgendo circa 22.000 operatori. Le categorie più colpite sono gli infermieri, seguiti da medici e OSS. Le donne sono più del 60% delle vittime. In oltre l’80% dei casi, la violenza è verbale, nel 15% fisica, nel 5% dei casi psicologica. Ancora più significativi i dati degli osservatori locali affidati al fai da te delle Regioni e dei singoli operatori a cui danno conforto anche i dati Inail legati a quelli che quasi sempre vengono rubricati infortuni sul lavoro per le aggressioni che danno luogo a lesioni che provocano una assenza dal lavoro. Un sistema perverso che peraltro alimenta le fughe delle prime linee più esposte e dai reparti critici i camici bianchi già carenti in una spirale che finisce per aggravare il fenomeno in molti casi legato alle eccessive attese e alla mancanza di un tempo giusto da dedicare al paziente. Problemi di cui peraltro gli operatori sanitari sono le prime vittime. In questa ottica è solo un palliativo la depenalizzazione della colpa grave del medico soprattutto legata a carenze strutturali, strumentali e di personale come novellato nella legge delega di recente approvata in via definitiva al Senato. Anche l’assistenza domiciliare è interessata dal fenomeno. Uno studio condotto nel 2025 (Wiley Journal of Clinical Nursing) mostra come l’isolamento dell’operatore, l’assenza di supporto immediato e la tensione emotiva nelle famiglie aumentino il rischio di aggressione. Attualmente, in base alle ricerche riportate nelle fonti, le cifre in media mostrerebbero che oltre il 65% delle aggressioni avviene negli ospedali, circa il 20 – 22% negli ambulatori, circa il 16% in sede domiciliare.
In Campania, dati regionali indicano, nel 2025, un aumento del 22% delle aggressioni rispetto all’anno precedente, ben al di sopra della media italiana, di poco superiore al 5%. Inoltre difficoltà organizzative e carenze strutturali, sovraffollamento e scarsità di risorse rendono la fragilità ancora più esplosiva.
“Nel cuore della relazione terapeutica – afferma la dottoressa Ascione,– si incontrano la vulnerabilità del paziente e la responsabilità del curante che viene investito di un ruolo quasi parentale e salvifico. Oggi, questo patto originario sembra essersi incrinato. L’aumento di aggressioni agli operatori sanitari, l’emergere di un clima di diffidenza sistemica e il crescente burnout tra i professionisti della salute sono sintomi non solo di una crisi strutturale del sistema sanitario italiano, ma anche di una crisi simbolica e relazionale. Bisogna riformulare il patto di cura, fondandolo su soggettività del curante, supervisione clinica e promozione di una medicina narrativa. La soggettività del curante è un fattore terapeutico fondamentale per la riuscita del rapporto clinico-paziente: solo chi è riconosciuto come persona può riconoscere l’altro come tale. La fiducia non si genera nei protocolli, ma nella presenza, nell’umanizzazione”. Molti operatori sanitari, invece, lavorano in contesti che negano la loro soggettività, riducendoli a funzioni: “Da qui – conclude l’esperta – attacchi d’ansia, burnout, somatizzazioni, vissuti depressivi sempre più frequenti nel personale sanitario”.
Quali soluzioni e misure strutturali dunque è necessario adottare per ripensare la relazione di cura al fine di prevenire e gestire il rischio di aggressione soprattutto nella realtà campana? Ascione elenca 5 punti fondamentali per intervenire: Inserire nei curricula di formazione di medici e operatori sanitari moduli obbligatori su comunicazione, gestione emotiva e psicodinamica della relazione, istituire supervisioni psicologiche continuative nei contesti ospedalieri e territoriali, promuovere la medicina narrativa come strumento di simbolizzazione. E poi ancora introdurre protocolli post aggressione con debriefing emotivo per i curanti e infine agire sull’educazione dell’utenza da sensibilizzare tramite campagne pubbliche sul rispetto e la relazione umana nella cura.

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