Studio cinese e americano: questo aminoacido atipico aumenta con l’esercizio fisico aerobico e con il consumo di barbabietola rossa
Nuove prove del ruolo antiaging della Betaina un Aminoacido che esiste in forma salificata come cloruro confermata nell’attività protettiva di malattie degenerative da uno studio su Cell pubblicato da un gruppo di scienziati cinesi e americani.
La Betaina può essere aumentata nella dieta in quanto, come sostanza naturale, viene estratta dalla barbabietola da zucchero (Beta vulgaris), a cui deve il proprio nome, ma anche dai fichi d’india e dal melograno ed aumenta anche in misura significativa con l’esercizio fisico aerobico mentre nell’organismo è ottenuta dal suo precursore metabolico, la colina.
Nota anche come trimetilglicina, la Betaina deve le sue proprietà al fatto di essere un noto agente metilante, ossia ha la capacità di cedere gruppi metile (CH3) a varie sostanze. In virtù di questa attività è stata utilizzata con successo nel trattamento di un eccesso di omocisteina nel sangue (trasformandola in metionina) e nelle urine associate ad un aumentato rischio cardiovascolare. La betaina è disponibile sul mercato sia come farmaco che come integratore alimentare.
Secondo il recente studio l’esercizio fisico ha benefici per la salute ben consolidati, ma le sue basi molecolari rimangono ancora parzialmente sconosciute. L’analisi multi-omica integrata per confrontare gli effetti dell’esercizio acuto rispetto all’esercizio a lungo termine in maschi sani ha rivelato che l’esercizio acuto ha indotto risposte transitorie, mentre l’esercizio ripetuto ha innescato cambiamenti adattativi, in particolare riducendo la senescenza cellulare e l’infiammazione e potenziando il metabolismo della Betaína. L’arricchimento di Betaína indotto dall’esercizio, in parte mediato dalla biosintesi renale, esercita dunque effetti geroprotettivi e salva il declino della salute legato all’età nei topi. La Betaína si lega e inibisce la chinasi 1 legante TANK (TBK1), rallentando la cinetica dell’invecchiamento. Questi risultati chiariscono sistematicamente i benefici molecolari dell’esercizio e posizionano la Betaína come un mimetico dell’esercizio per l’invecchiamento sano.
In sintesi, lo studio ha scoperto che l’esercizio a lungo termine riduce la senescenza cellulare e l’infiammazione tramite l’aumento della Betaina che ha effetti geroprotettivi. La Betaína dunque può essere utilizzata come mimetico dell’esercizio per promuovere l’invecchiamento sano.
La ricerca si sposa con quella condotta nei mesi scorsi dall’Università di Napoli Federico II, dal Ceinge e dagli Atenei di Salerno e Pavia che ha individuato proprio la Betaina tra i nuovi biomarker spia di organi che stanno invecchiando pianificando interventi in grado di rallentare il processo. Uno studio condotto in particolare dal direttore del Laboratorio di Neuroscienze Traslazionali del CEINGE Biotecnologie Avanzate Franco Salvatore di Napoli e professore di Biochimica clinica all’Università Vanvitelli, da Francesco Errico, professore di Biochimica dell’Università Federico II di Napoli e ricercatore al CEINGE, da Anna Maria D’Ursi, professoressa di Chimica farmaceutica, e dalla ricercatrice Carmen Marino (prima firma dello studio) dell’Università di Salerno. Inoltre, da Enza Maria Valente, responsabile del Centro di Ricerca in Neurogenetica della Fondazione Mondino di Pavia e da Alberto Imarisio, neurologo e
“La nuova scoperta conferma la nostra – avverte il professor Alessandro Usiello – la Betaina è un aminoacido atipico fisiologicamente presente nel nostro organismo che contribuisce a fermare lo stress ossidativo delle nostre cellule e a ridurre il rischio cardiovascolare. Il test del sangue ha prodotto risultati differenti: i livelli di Betaina risultano essere diversi nei soggetti pre-fragili, fragili e sani. Ill nuovo studio arricchisce il significato molecolare della Betaina e dimostrando che ha un’azione gerontoprotettiva perché agisce come un potente antiinfiammatorio e anti stress ossidativo cellulare e soprattutto che protegge dall’invecchiamento e che aumenta dall’esercizio fisico”.
L’invecchiamento è un profilo clinico caratterizzato dal declino di molteplici funzioni fisiologiche del corpo umano, comprese le abilità fisiche, cognitive e sociali. Il significativo aumento dell’aspettativa di vita avvenuto negli ultimi decenni ha reso la fragilità una problematica sempre più comune nei paesi occidentali, che devono ora fronteggiare l’enorme impatto socio-economico legato all’assistenza della popolazione anziana più fragile.
L’originario studio interamente italiano sulla Betaina ha scoperto che tramite un semplice prelievo di sangue è possibile individuare biomarkers in grado di tracciare nuovi profili metabolici in grado di individuare i soggetti anziani, pre-fragili (cioè in fase intermedia tra lo stato di salute e la fragilità) e quelli fragili, distinguendoli dagli individui sani. La ricerca, pubblicata su NPJ Aging* (gruppo Nature), ha evidenziato che i soggetti sani e pre-fragili hanno un profilo ematico caratterizzato da livelli elevati di betaina rispetto agli anziani fragili. In particolare le condizioni di prefragilità vede aumentare la Betaina probabilmente indotta a protezione del processo di senescenza in atto fino ad esaurirsi nei fragili. In altre parole, le condizioni di salute di una persona pre-fragile possono aggravarsi e condurre quindi allo stadio di fragilità, oppure migliorare e ritornare quindi allo stato di “fitness” globale e la Betaina può essere un effettore col ruolo di marcatore in grado di identificare biologicamente i soggetti fragili è quindi fondamentale per aprire nuove prospettive di ricerca volte a scoprire terapie innovative in grado di rallentare – o addirittura invertire – il processo di invecchiamento fragile e favorire una Healthy Longevity.
I prossimi step saranno indagare i meccanismi biologici responsabili delle variazioni emerse nello studio, e verificare se la supplementazione di betaina o di specifiche formulazioni di amino acidi possa rappresentare una possibile strategia terapeutica per favorire un invecchiamento in buona salute nota come “Healthy Longevity”», dichiara Usiello.
Ma su cosa si basa la longevità, ossia una vita mediamente più lunga di quella attesa: vale più la genetica o l’ambiente e gli stili di vita o il genoma e quello che circonda il genoma? E’ possibile agire per aumentare le potenzialità della genetica e incidere sulla lunghezza programmata della nostra vita. E che ruolo possono avere il cibo, gli integratori la riprogrammazione cellulare non solo per guarire da alcune malattie degenerative come il cancro e le demenze ma anche per riparare l’inesorabile accorciamento dei telomeri a ogni mitosi?
Gli studi in materia sono davvero tanti alcuni seri e attendibili altri meno documentati altri ancora delle vere e proprie fake per cui occorre mettere ordine, fare chiarezza e sfatare i falsi miti. La premessa è che in tema di longevità la scienza non sempre riesce a dare risposte chiare e univoche ma piuttosto aggiunge ogni volta un tassello a precedenti scoperte consolidate. Così sempre più si attribuisce un valore all’epigenetica piuttosto che alla genetica.
Uno studio recente, pubblicato su Nature e condotto su topi geneticamente diversificati, ha tuttavia evidenziato come sia la restrizione calorica e il digiuno intermittente possano aumentare la durata della vita ma la genetica ha sempre un ruolo più significativo rispetto alla dieta nel determinare la longevità. E torniamo alla diatriba tra genetica ed epigenetica. Nel mezzo sta la verità: una buona genetica unita a uno stile di vita sano consentono di esprimere tutte le potenzialità e non guasta individuare lo stato di questo processo per intervenire prima che sia tardi come insegna questo nuovo studio del Ceinge.