Recovery Fund, la curiosità inizia ad essere tanta e la domanda è: dove andranno a finire i soldi stanziati?
Molti sono ancora i quesiti e le perplessità che ruotano attorno al tema del recovery fund, ma è certo che si tratta di una cifra molto importante, una pioggia di soldi, e la speranza è che possa dare un respiro di sollievo alla sanità di domani.
Il piano del Recovery Fund prevede il rafforzamento della resilienza e tempestività di risposta del sistema ospedaliero, il sostegno alla ricerca, immunologica e farmaceutica; la digitalizzazione dell’assistenza e dei servizi di prevenzione il rafforzamento della prossimità delle strutture del servizio sanitario nazionale, l’integrazione tra politiche sanitarie e politiche sociali e ambientali, fino alla valorizzazione delle politiche per il personale sanitario.
Le proposte per mettere a nuovo il servizio della sanità nazionale arrivano da ogni ambito. Dal “territorio” i medici di medicina generale hanno più volte ribadito il bisogno di un sistema più strutturato in termini di personale e strumentazioni (tecnologie) per assicurare la continuità delle cure, nonché l’assistenza al paziente, per fare lavorare meglio 46mila medici di medicina generale, per permettere loro di lavorare in strutture adeguate e di intercettare le persone con bisogni di cure. Per fare questo è necessaria una dotazione di personale sanitario (infermiere) e segretariale, stimato in circa 90 mila unità, per un investimento annuale di almeno 3,8 milioni di euro, e poi strutture adeguate e infrastrutture digitali.
Sul fronte home care si avanza la necessità, oltre all’assistenza domiciliare integrata, come da Lea, di altri interventi che favoriscano la permanenza delle persone assistite al proprio domicilio (con risorse formali, informali, sanitarie e sociali) e cure domiciliari ad alta complessità assistenziale.
Gli economisti sostengono che per organizzare al meglio i fondi del Recovery Fund è necessario riscrivere le regole del funzionamento del Servizio sanitario poiché poggia su basi normative vecchie di trent’anni ed è necessaria una grande opera di investimento in infrastrutture sul territorio, mentre per gli ospedali sarebbe importante ragionare su una vera rete. E poi le risorse devono essere stabilmente inserite nel finanziamento per evitare fenomeni di sotto finanziamento del sistema, come è già sotto gli occhi di tutti.
Insomma, si tratta di una sfida importante sulla quale tutta la comunità scientifica, la rete di associazioni di pazienti e i cittadini scommettono tanto perché il Servizio sanitario nazionale è un bene comune da preservare.
La pandemia ce l’ha insegnato, eccome.