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Tumore ovarico, congresso oncologia ginecologica. “Test HRD siano contestuali alla diagnosi”

La lotta al tumore dell’ovaio, una delle forme più insidiose di cancro della sfera femminile, sotto i riflettori al congresso della Società Europea di Oncologia Ginecologica (ESGO) che si è tenuto a Roma. Un tema di particolare attualità è la richiesta di rendere il test HRD un passaggio contestuale, una tappa obbligata al momento della diagnosi.

Le ricerche mostrano che circa il 50% delle donne affette da tumore ovarico presenta alterazioni nei geni coinvolti nella riparazione del Dna, in particolare nei geni BRCA1 e BRCA2. Questi difetti, noti come HRD, sono indicativi per la scelta della terapia più efficace, come accade con gli inibitori della PARP.

L’evidenza scientifica c’è, ma il test HRD deve ancora affermarsi come prassi comune in Italia. La profilazione molecolare viene effettuata di prammatica solo in alcuni centri, e ciò comporta una disparità di trattamento che l’Ovarian Cancer Commitment (OCC) sta cercando di superare, per questo si chiede che il test sia garantito e rimborsato in tutte le strutture sanitarie senza eccezioni.

L’Ovarian Cancer Commitment, un’iniziativa congiunta di ESGO, della rete europea ENGAGe e di AstraZeneca, mira a migliorare la conoscenza e la cura del carcinoma ovarico. Sulla base di quanto detto prima, è bene che tutte le donne che ricevono una diagnosi di tumore ovarico possano accedere al test, poiché le informazioni genetiche sono essenziali per personalizzare il trattamento.

Nell’ambito del congresso europeo è stata presentata la versione italiana di Olivia, una piattaforma digitale che offre informazioni e supporto a pazienti, familiari e professionisti, un percorso interattivo e personalizzato sul tumore ovarico. Questa risorsa (ovarian.gynecancer.org/it) è progettata per accompagnare le pazienti in ogni fase della malattia, dalla diagnosi al trattamento, fino alla gestione delle recidive.

Le donne che ricevono una diagnosi di tumore ovarico si trovano spesso disorientate e sopraffatte. Olivia fornisce informazioni certificate e risorse pratiche che possono fare la differenza nel percorso di cura.

In un’epoca in cui il tumore ovarico continua a rappresentare una delle principali cause di mortalità tra le donne, l’importanza di garantire accesso e rimborsabilità per i test HRD diventa una questione di sopravvivenza. È tempo di uniformare le pratiche, in ogni regione d’Italia.

Anna Fagotti, presidente ESGO, dirige l’Unità Operativa Complessa per il Tumore Ovarico presso la Fondazione Policlinico Gemelli di Roma, e sottolinea che circa l’80% delle donne riceve una diagnosi di tumore ovarico in fase avanzata. A differenza di altre tipologie di tumore, come avviene nel colon-retto, nella mammella e nella cervice uterina, mancano test di screening che consentano la diagnosi precoce (ma sarebbe opportuno incoraggiare tutte le donne a proseguire le visite ginecologiche con ecografie a cadenza regolare anche dopo la menopausa, ndr). Consideriamo inoltre che il 70% delle pazienti con carcinoma ovarico in stadio avanzato sperimenta una recidiva entro due anni.

In oncologia si fanno strada terapie mirate come gli inibitori di PARP, che possono essere associati a farmaci antiangiogenici come trattamento di mantenimento di prima linea. Queste terapie hanno mostrato di ritardare la progressione della malattia.

Per selezionare i trattamenti più appropriati, è fondamentale eseguire il test HRD, che identifica un difetto nel meccanismo di riparazione del Dna presente in circa il 50% dei casi di cancro dell’ovaio. La professoressa Fagotti evidenzia che il test, che consente anche di rilevare mutazioni nel gene BRCA, dovrebbe essere il primo passo nell’approccio alla medicina di precisione e dovrebbe essere effettuato su tutte le pazienti al momento della diagnosi. Tuttavia, per questo test sono necessarie tecnologie e software specifici, disponibili solo in alcuni centri specializzati. Per colmare il gap, l’Ovarian Cancer Commitment richiede che vengano create reti regionali di laboratori abilitati e con i giusti requisiti.

La proposta avanzata di una rimborsabilità non più riferita al singolo gene, come avvenuto per il BRCA, ma su scala multigenica, è maturata secondo un’ottica razionale. “L’accesso equo a test molecolari che permettono di definire la terapia su misura di ogni paziente e la possibilità di essere curate nei centri di riferimento di alta specialità, che eseguono un elevato numero di interventi chirurgici all’ovaio, non sono ancora una realtà in Italia”, afferma Nicoletta Cerana, Presidente Acto Italia (Alleanza contro il tumore ovarico). Solo tre centri italiani possono contare su una massa critica superiore ai cento interventi l’anno. La grande maggioranza non può ambire a ottenere la certificazione. Inoltre, solo 7 regioni hanno identificato i centri di riferimento e le loro caratteristiche.

Manuela Bignami, Direttore di Loto OdV, auspica la definizione di un PDTA nazionale che stabilisca i criteri per i centri di riferimento, in linea con gli standard che prevedono chirurghi specializzati e team multidisciplinari.

Le criticità riguardano sia il PDTA (Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale) specifico per la gestione delle persone ad alto rischio, assente in 12 regioni italiane, sia il mancato riconoscimento dell’esenzione D99 in modo omogeneo a livello nazionale, spiega Ornella Campanella, presidente aBRCAdabra. “Questa esenzione interessa le persone risultate positive al test BRCA (sia uomini che donne) e che sono considerate ad alto rischio di sviluppare un tumore al seno, all’ovaio, al pancreas e alla prostata. È opportuno che queste persone, portatrici sane e non, siano inserite in programmi di sorveglianza specifici volti ove possibile alla diagnosi precoce di queste neoplasie. Ad oggi, l’esenzione D99 è stata deliberata solo in 10 regioni. È quindi necessario che venga riconosciuta in modo uniforme sul territorio, per ridurre la disparità di accesso alla prevenzione con il rischio di una diagnosi tardiva. Chiediamo, inoltre, che entrambe le chirurgie di riduzione del rischio, senologica e ginecologica, siano inserite nei Lea. È ampiamente dimostrato infatti che, nelle donne portatrici della variante patogenetica BRCA, la rimozione chirurgica del seno, così come la chirurgia riguardante le tube e le ovaie, riducano in modo significativo la probabilità di sviluppare, rispettivamente, il tumore della mammella e quello dell’ovaio”.

“Nel nostro Paese – ha scritto Elena Murelli, componente della Commissione Sanità e Lavoro del Senato – l’approvazione del farmaco e del corrispondente test non sono contestuali, determinando spesso ritardi nell’accesso reale alle terapie innovative che richiedono l’esecuzione di analisi molecolari. Per tale ragione è necessario garantire la rimborsabilità e un accesso omogeneo al test HRD contestualmente alla diagnosi, per consentire una terapia personalizzata e l’adozione di strategie di sorveglianza o di riduzione del rischio, mediante l’inserimento nei Livelli Essenziali di Assistenza”.

I test HRD (Homologous Recombination Deficiency) sono esami diagnostici utilizzati principalmente in oncologia per identificare le alterazioni nel meccanismo di riparazione del Dna nelle cellule tumorali. Questi test sono particolarmente rilevanti per i tumori che possono beneficiare di trattamenti mirati, come gli inibitori delle PARP. Gli esami possono essere eseguiti su campioni di tessuto tumorale o su campioni di sangue (test di biopsia liquida).

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