Uno studio condotto dal gruppo di Biologia computazionale del Biogem, centro di ricerca di Ariano irpino in provincia di Avellino, in collaborazione con la Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano da Roberta Mortarini e Andrea Anichini) e dall’Università di Siena (Michele Maio), evidenzia che il profilo di metilazione (tutte le modifiche del DNA che caratterizzano il singolo tumore) possa influenzare profondamente l’eterogeneità biologica e il comportamento clinico del melanoma metastatico. Lo studio è stato pubblicato sul Journal of Experimental & Clinical Cancer Research. La ricerca ha
“Attraverso un’approfondita analisi multi-omica, capace cioè di studiare simultaneamente diverse informazioni biologiche di un organismo – spiega Michele Ceccarelli che dirige il Laboratorio di Bioinformatica di Biogem – siamo riusciti a identificare quattro sottotipi di melanoma, caratterizzati da livelli crescenti di metilazione del DNA”. “Uno di questi – continua il ricercatore – risulta caratterizzato da un’elevata presenza di cellule immunitarie, in particolare i linfociti T CD8+ (noti anche come linfociti T citotossici (CTL), un tipo di globuli bianchi che svolgono un ruolo cruciale nel sistema immunitario adattativo. La loro funzione principale è quella di riconoscere e distruggere cellule infettate da virus, batteri e le cellule tumorali).
e dall’espressione di geni associati a una prognosi favorevole e a una maggiore sopravvivenza, confermando la correlazione tra i sottotipi di metilazione e la risposta all’immunoterapica”.
”Sebbene quest’ultima rappresenti oggi una strategia promettente per il trattamento del melanoma – sottolinea Francesca Pia Caruso, co-primo autore dello studio – purtroppo solo una parte dei pazienti risponde efficacemente alle cure”. “A questo proposito – assicura la giovane ricercatrice di Biogem – i nostri risultati evidenziano che la classificazione dei tumori in base al profilo di metilazione può aiutare a prevedere in anticipo chi potrà trarre maggiore beneficio dall’immunoterapia”. “Con il gruppo dell’Istituto Nazionale dei Tumori abbiamo dimostrato in vitro – aggiunge la dottoressa Caruso – che il trattamento delle cellule di melanoma con un inibitore delle DNA metiltransferasi (DNMTi) è in grado di indurre una demetilazione globale, riprogrammando i tumori verso un fenotipo potenzialmente più sensibile all’immunoterapia”. “Risultati che – scommette Ceccarelli – aprono la strada a strategie terapeutiche combinate, basate, essenzialmente, sull’utilizzo di farmaci epigenetici per aumentare l’efficacia dell’immunoterapia nel melanoma”.
Una coorte retrospettiva di 165 pazienti con melanoma di stadio III e IV (coorte EPICA) è stata caratterizzate mediante sequenziamento bisulfitico ridotto, sequenziamento dell’RNA, sequenziamento dell’esoma completo, immunoistochimica quantitativa e analisi di immunofluorescenza multipla. I dati del TCGA melanoma sono stati utilizzati per la validazione. L’impatto di un inibitore della DNMT sul profilo di metilazione del DNA e trascrizionale di linee cellulari di melanoma è stato studiato mediante array EPIC e array Clariom S. Quattro sottotipi di tumori (cioè Demetilato, basso, intermedio e Cimp) con livelli di metilazione del Dna progressivamente più alti sono stati identificati nelle coorti EPICA, TCGA MM e TCGA melanoma primario. I pazienti EPICA con tumori Basso metilati hanno mostrato una sopravvivenza significativamente più lunga e una minore progressione della malattia rispetto ai pazienti con tumori Cimp. In una coorte di immunoterapia adjuvante, i pazienti con lesioni DEM/BASSO pre-terapia hanno mostrato una sopravvivenza libera da recidiva significativamente più lunga rispetto a quelli con lesioni INT/CIMP. Questi risultati rivelano la rilevanza biologica, prognostica e terapeutica delle classi di metilazione del DNA nel melanoma metastatico e supportano strategie di targeting del metiloma per l’immunoterapia di precisione.





