Dal coordinamento intersindacale la richiesta di un confronto con le rappresentanze della specialistica ambulatoriale territoriale. Si va verso la revisione dei parametri e la valorizzazione del privato accreditato.
La definizione delle tariffe per l’assistenza specialistica ambulatoriale e protesica in regime di convenzione è uno degli snodi più delicati del sistema sanitario nazionale. Non si tratta solo di numeri, ma di equilibri tra pubblico e privato, di sostenibilità economica e di accesso equo alle prestazioni sanitarie. In questo senso, la sentenza del Tar del Lazio, che ha annullato il decreto interministeriale con cui il Ministero della Salute e quello dell’Economia avevano rideterminato le tariffe, rappresenta un punto di svolta.
Il ricorso, promosso dal Cimest (Coordinamento intersindacale medicina specialistica di territorio) e sostenuto dal presidente Salvatore Calvaruso insieme ai coordinatori Domenico Garbo e Salvatore Gibbino, ha trovato accoglienza nei giudici amministrativi. Secondo il Tar, il decreto non ha tenuto conto di variabili fondamentali: l’inflazione e l’aumento del costo della vita, l’incremento dei costi di apparecchiature e materiali, l’evoluzione tecnologica e la necessità di aggiornamento delle strumentazioni, oltre agli adeguamenti contrattuali del personale sanitario.
Una bocciatura che impone una revisione del sistema tariffario. Lo ha riconosciuto anche il Ministro della Salute Orazio Schillaci, intervenuto recentemente alla Camera durante il Question Time: “Il decreto conteneva un errore di valutazione e la sentenza del Tar può rappresentare un’opportunità per una equa revisione delle tariffe”.
Il coordinamento intersindacale, in una nota, ha ribadito la necessità di coinvolgere nei prossimi tavoli tecnici le sigle rappresentative della specialistica ambulatoriale territoriale: Cimest, Sbv, Aiop, Anisap, Arse e Uap. “Solo attraverso un confronto con chi rappresenta realmente tutte le anime specialistiche sarà possibile arrivare a un tariffario giusto e sostenibile”.
Al centro della rivendicazione c’è anche una disparità strutturale che il coordinamento definisce inaccettabile: il privato accreditato eroga circa il 70% delle prestazioni sanitarie incluse nei Livelli Essenziali di Assistenza (Lea), ma riceve solo il 35-40% delle risorse rispetto alla sanità pubblica, che ne eroga il 30%. Una sproporzione che, secondo il Cimest, mina i principi costituzionali sanciti dall’articolo 32 della Costituzione e dalla normativa di riferimento (D.Lgs. 502/1992 e successive modifiche), che impongono tariffe congrue per garantire equità, efficienza e universalità del Servizio Sanitario Nazionale.
Il presidente Calvaruso ha sottolineato un altro nodo cruciale: “Per ridurre le liste d’attesa non occorre reclutare professionisti da altri Paesi, occorre piuttosto valorizzare i medici e gli infermieri che già operano nelle strutture accreditate”. Una posizione che richiama l’urgenza di investire sulle risorse esistenti, riconoscendo il loro ruolo e il loro contributo alla tenuta del sistema.
La sentenza del Tar e le reazioni che ne sono seguite aprono dunque una fase nuova, in cui il confronto tra istituzioni e rappresentanze professionali diventa imprescindibile. La ridefinizione delle tariffe non può essere un esercizio contabile, ma deve riflettere la realtà operativa, i costi effettivi e le esigenze di un sistema che punta a garantire cure di qualità a tutti i cittadini. In gioco non c’è solo la sostenibilità economica, ma la credibilità stessa del Servizio Sanitario Nazionale.





