Punti di differenza - J&J MedTech

Contenuti esclusivi

Medicina predittiva, ruolo dei big data e dell’intelligenza artificiale

La Fondazione Heal Italia lancia un programma pilota in...

Genoma Puglia: un modello riconosciuto come standard internazionale d’avanguardia

Il Brasile ha chiesto di collaborare ufficialmente con la...

Il Ddl Semplificazioni: le novità per i certificati di malattia e le ricette ripetibili

Il Ddl Semplificazioni è diventato Legge n. 182 del 2025,...

Personale, finanziamenti del Ssn, spesa delle Regioni ed esiti delle cure: il cantiere aperto della Sanità

L’allarme del governatore dell’Emilia Romagna Michele de Pascale, sul fatto che la sua regione non riesca più a curare i pazienti che arrivano da fuori regione – “stanno intasando il sistema” sottolinea “non ce la facciamo più” – capovolge, per la prima volta da anni, la cornice di lettura politica ed economica di un fenomeno strutturale del governo della Salute in Italia. Parliamo della migrazione sanitaria, ossia del flusso ininterrotto di malati lungo lo Stivale che, da almeno 25 anni, ha rappresentato l’emblema dei divari strutturali ed organizzativi tra Nord e Sud del Paese. Un fenomeno che da motore di ricchezza e fonte di entrate extra per le regioni più attrattive, che potevano contare su un tesoretto annuo da registrare a bilancio (tramite le compensazioni interregionali dei Drg) oggi si configura come un peso e una difficoltà. Ciò accade sia per un conteggio sempre meno vantaggioso di tali attribuzioni finanziarie, sia soprattutto per l’erosione della platea di medici e infermieri che popolano le corsie di aziende sanitarie e ospedaliere. Nodo che ha finito per rendere sempre meno sostenibile questo surplus di attività.
Un modello diventato dunque non più auspicato da chi accoglie tali richieste a dispetto della libertà di scelta del luogo di cura garantita dalla Costituzione e dell’unitarietà del Servizio sanitario nazionale e in un contesto che, dal 2001, vede attribuiti allo Stato i Livelli essenziali di assistenza ma alle Regioni la competenza di organizzare il servizio a livello locale e di legiferare il grosso della materia. 
L’invocazione, da parte del governatore Dem dell’Emilia Romagna, di un rinnovato patto per la Salute tra le Regioni affinché ognuno dia le risposte sanitarie alla popolazione residente, spinge e sollecita a una riflessione più ampia che si colloca nel solco del ripensamento complessivo del sistema Salute italiano. Uno dei meno finanziati in Europa in rapporto al Pil si dirà, ma pur sempre uno dei pochi al mondo con un modello universalistico e improntato all’equità e all’uguaglianza. E anche tra i più efficienti a voler vedere il bicchiere mezzo pieno da lato degli esiti. Dopo il Giappone, infatti, l’Italia ha infatti risultati delle cure sanitarie molto positivi e una delle più alte aspettative di vita e tra i più bassi livelli di mortalità evitabile, tra i paesi Ocse.

LA LETTERA DI SCHILLACI
Qui si inseriscono idealmente i contenuti della bella lettera del ministro della Salute indirizzata al “Foglio” in cui Orazio Schillaci sottolinea come il sistema sanitario italiano sia certamente sotto pressione e sta affrontando criticità oggettive, come la carenza di personale e le necessità di maggiori investimenti, ma per venire fuori da questo guado servono responsabilità collettiva e serietà politica.
L’impronta costituzionale dell’equità sul sistema salute non può essere infatti assolto migrando da una regione all’altra ma solo rendendo omogenee le risposte ai bisogni di salute dei cittadini sui vari territori. Invoca una svolta, il titolare del dicastero della Salute, anche nella narrazione: “Il nostro Servizio sanitario nazionale, nonostante tutto, funziona. Non perfettamente, non uniformemente, ma funziona. Garantisce aspettative di vita tra le più alte d’Europa. E l’onestà intellettuale ci imporrebbe di partire da questo dato di realtà, non per autoassolverci o per negare i problemi, ma per capire cosa abbiamo costruito e come preservarlo mentre cerchiamo di migliorarlo”. La serietà? “E’ affrontare i problemi ammettendo le responsabilità. Tutte. Perché nessuno può scagliare la prima pietra sul Servizio sanitario nazionale ingolfato”. Un discorso chiaro, senza infingimenti, condivisibile: “Il servizio sanitario italiano – aggiunge Schillaci – è stato frammentato in 20 sistemi regionali senza una vera regia nazionale, definanziato costantemente per oltre un decennio, lasciato andare a macchia di leopardo. Il risultato? Un’eccellenza qui, un disastro là. E pazienza se hai avuto la sfortuna di nascere dalla parte sbagliata. Ma questo non possiamo più accettarlo: un cittadino non può pagare con la salute il fatto di essere nato in Puglia piuttosto che in Veneto. Serietà è riconoscere che le buone pratiche non hanno colore politico. Che l’appropriatezza organizzativa funziona a prescindere da chi governa. Quando un napoletano sale su un treno per farsi operare a Brescia o a Padova non è mobilità sanitaria. E’ la sconfitta di un’intera nazione. E’ l’ammissione che lo stato ha rinunciato a garantire l’uguaglianza dei diritti”. 
Il Ministro ha ragione: dopo il Giappone quella italiana resta una delle popolazioni curate meglio, tra le più longeve al mondo. E allora di cosa bisogna tenere conto per venire a capo dello sbilancio che genera la migrazione sanitaria?

I DATI
Sono i dati a indicare la strada di una revisione necessaria all’impianto delle norme che, dal 1978 in poi regolano questo prezioso servizio ai cittadini.
La salvaguardia della sanità pubblica non può prescindere da un piano pluriennale di potenziamento del sistema di offerta che agisca non solo su personale e risorse ma anche sull’impiego dei sistemi digitali. Basta pensare alle opportunità e urgenze dell’ospedale virtuale. Da completare c’è anche il percorso di aggiornamento dei criteri di riparto del fondo sanitario nazionale, rimuovendo in via definitiva i motivi di sperequazione che si sono protratti per decenni e superando le fallimentari stagioni commissariali concepite come tagli alla spesa anziché investimento in modelli di governance.
Sulla grave e generalizzata carenza di personale sanitario va tuttavia riconosciuto al governo lo sforzo in atto. Sono oltre mille i medici e saranno 6.300 gli infermieri in più previsti nella legge di Bilancio per affrontare il nodo irrisolto delle corsie sguarnite. Il conteggio delle risorse rispetto al Pil? Diciamolo a chiare lettere: non tiene conto del fatto che si tratta di una percentuale relativa e che è l’economia generale a dettare legge se non si vuole finanziare la Sanità a debito. Il finanziamento lo decide il governo per garantire i Lea in condizioni di equità, efficacia e appropriatezza ma la spesa la determinano le Regioni. E’ Il disallineamento a generare i disavanzi. In Italia dal 2000 al 2024 si è registrata una fase di espansione del finanziamento (passato da 66 miliardi nel 2000 a 97 nel 2009 e dal 5,5 al 6,8 in percentuale sul Pil). La crisi finanziaria dei debiti sovrani di quell’anno ha segnato una contrazione fino al 2013. Successivamente tutti i governi che si sono succeduti hanno aumentato il finanziamento di circa un miliardo all’anno, portandolo da 110 a 114 miliardi di euro tra 2015 e 2019 ma sul Pil la spesa si è contratta dal 6,6 al 6,4 per cento. Nel 2020 si è passati da 1 a 2 miliardi di incremento annui. Col Covid il picco di circa 6 miliardi in più che ha consentito di raggiungere il 7,3 per cento del Pil (anche per la consistente riduzione dell’attività economica). E’ dunque chiaro che il Fondo sanitario nazionale per non andare a debito deve accompagnare la crescita economica del Paese e che il solo rapporto rispetto al Pil è fuorviante.

IL PERSONALE
«È chiaro che i salari dei medici andrebbero adeguati – ha detto di recente Schillaci presentando la manovra economica – ma non si tratta solo di questo. Il primo motivo della fuga è la ricerca di meno burocrazia. Chi va all’estero vuole contratti di lavoro più flessibili che per questo dovrebbero essere riportati nelle competenze del Ministero della Salute».
Non è un caso che nella legge di Bilancio 2026 siano stati previsti 450 milioni di euro per le assunzioni di mille medici e 6.300 infermieri. Ma come s’interviene sulle buste paga? Nella manovra di un anno fa per le indennità di pronto soccorso c’erano nel piatto 50 milioni dal primo gennaio 2025 e altrettanti dal 2026. Sempre nella precedente finanziaria 120 milioni a decorrere dal 2026 sono stati appostati per migliorare il trattamento economico degli specializzandi che dal prossimo anno potranno contare anche su un aumento del 5 per cento della parte fissa del trattamento economico per tutte le specializzazioni e del 50% per la parte variabile attribuita alle branche in cui i corsi vengono disertati in maggiore percentuale. Un ulteriore ritocco verso l’alto è previsto da quest’anno con la nuova legge di Bilancio per gli infermieri (280 milioni da aggiungere alle risorse del 2025) senza contare le misura “antifughe” delle flat-tax al 5 per cento sugli straordinari. Di più: a decorrere dal 2026, rispetto a quanto già stanziato dalla precedente legge di bilancio (327 milioni per medici e veterinari e 285 milioni per infermieri) vengono aggiunti 280 milioni (85 milioni per i dirigenti medici e veterinari, 195 milioni per gli infermieri). A regime rispettivamente 412 e 480 milioni. In soldoni un incremento dell’indennità per medici e veterinari pari a circa 745 euro con la manovra che in media portano a circa 3.052 euro lordi annui per i medici l’aumento finale e 701 euro per gli infermieri per un importo complessivo, tenuto conto dell’aumento previsto dalla precedente legge di bilancio, pari a circa 1.600 euro lordi.

LE SPECIALIZZAZIONI
Ma non è tutto: Nel disegno di legge delega di riforma delle professioni sanitarie, tra le altre cose si istituisce la Scuola di Specializzazione per la medicina generale che supera il corso di formazione triennale regionale per la medicina generale che attualmente prevede una borsa di 800 euro mensili. E ancora poco? Come dimenticare la depenalizzazione dell’atto medico contenuta nella legge delega e l’inasprimento delle pene per le aggressioni con l’arresto anche in flagranza differita? Certo resta il nodo della attrattività della professione: in Italia la carenza di camici bianchi riguarda anche le specializzazioni e alcune aree della medicina stanno diventando veri e propri deserti professionali, con un numero sempre più elevato di borse di specializzazione che rimangono non assegnate. L’analisi condotta da Anaao Assomed (il principale sindacato dei medici e dirigenti sanitari) e dall’Associazione Liberi Specializzandi, sebbene con un trend in miglioramento indica che ci sono discipline in cui oltre il 70% delle borse di studio per la formazione specialistica non sono assegnate. La crisi è massima in  microbiologia e virologia dove quasi l’80% delle borse (79,6%) è disertato. A ruota troviamo farmacologia (78,1%) e patologia clinica (75,7%) la cui carenze incidono sul funzionamento di articolazioni chiave del sistema di cure e servizi. Un quadro preoccupante anche per altre aree specialistiche: radioterapia è al 64,7% di borse non assegnate, medicina di comunità il 64,2%, statistica sanitaria il 63,8%.
Non vanno meglio la Radioterapia, disciplina chiave in Oncologia e Medicina di comunità, un pilastro della riorganizzazione in fieri delle cure di prossimità disegnate dal Pnrr dove due terzi delle caselle formative restano vacanti. Ci sono poi i camici bianchi di prima linea come quelli da reclutare nelle scuole di medicina d’emergenza e chirurgia toracica, dove il 43,7% delle borse restano inutilizzate. Anche in chirurgia generale la quota non assegnata raggiunge il 35,8%. Turni massacranti, lo stress le disorganizzazione e la prospettiva di lavorare sotto organico avvitano verso il basso i reclutamenti anche nei concorsi per le prime linee ma parliamo di una delle aree più difficili in cui lavorare in cui bisognerebbe agire con un consistente aumento delle indennità tenendo conto del fatto che la mancanza di specialisti  non è solo un problema accademico ma ha conseguenze dirette sul funzionamento di aree salvavita del sistema delle cure.
Serve dunque rivedere profondamente la programmazione e le modalità di accesso alla formazione dei professionisti medici e sanitari, innovando e semplificando la normativa relativa all’impiego del personale nelle strutture sanitarie ed incentivando in maniera tangibile la frequenza delle scuole di specializzazione in aree critiche provando ad allineare la domanda e l’offerta per evitare la pletora medica da un lato e l’imbuto formativo dall’altro.
Occorre agire anche sulla leva che allinea la dotazione di personale occupato nelle strutture sanitarie in rapporto alla popolazione residente (che oggi risente di profondi squilibri quando l’Emilia Romagna ha quasi il doppio dei camici bianchi impiagati nella sanità pubblica e privata accreditata della Campania). Come agire? Si potrebbe iniziare rimuovendo il tetto di spesa per il personale e la messa a disposizione di finanziamenti aggiuntivi destinati alle regioni che devono raggiungere lo standard medio nazionale. Infine per i territori in Piano di rientro, affinché le stesse da un lato non generino ulteriori motivi di divario tra i territori e, dall’altro, non realizzino una spirale labirintica tale da impedire sine die l’uscita da tale condizione nonostante il percorso di razionalizzazione, di risanamento e di inconfutabile miglioramento compiuto, evitare misure punitive anziché affiancanti e di sostegno come è avvenuto negli ultimi 15 anni.
Infine la migrazione sanitaria va letta sui dati economici procapite per essere compresa bene: nel 2022, il valore complessivo della mobilità sanitaria è ritornato ai livelli del 2019, circa 4,3 mld di euro, come se una piccola regione da 750.000/1.000.000 di abitanti emigrasse ogni anno per farsi curare altrove. Nel 2023 si è scesi a 2,9 miliardi generando un flusso di quasi 670 mila ricoveri effettuati fuori dalla propria Regione. I motivi principali includono liste d’attesa lunghe, la ricerca di una maggiore qualità percepita delle strutture e specifiche tipologie di interventi (come protesi, tumori e altre operazioni ad alta complessità) ma anche di media e bassa complessità. Ma quello che conta è la spesa pro-capite netta: la regione che spende maggiormente per la mobilità sanitaria è la Calabria, con 147 euro per abitante (pari al 7,5% del fondo sanitario regionale), seguita dalla Basilicata, con 128 euro (pari al 6,4% del fondo), dalla Valle d’Aosta, con 87 euro (pari al 4,4% del fondo), dall’Abruzzo, con 77 euro (pari al 3,8% del fondo), dalla Liguria, con 63 euro (pari al 2,9% del fondo). Poi la Campania, con 49 euro (pari al 2,5% del fondo che è anche grosso modo la quota che manca alle media di finanziamento nazionale procapite rispetto alla media), dalla Sardegna, con 46 euro (pari al 2,3% del fondo), e dalla Puglia con 45 euro (pari al 2,3% del fondo). Viceversa, le regioni che ricevono, sempre in termini di valori pro-capite, maggiori risorse dal saldo attivo di mobilità sono: il Molise (con 105 euro), l’Emilia-Romagna (92 euro), la Lombardia (55 euro) ed il Veneto (36 euro). In prevalenza, comunque, la mobilità avviene verso le strutture private accreditate che iniziano anch’esse a voler privilegiare i residenti a fronte di personale e risorse non più sufficienti.
Una leva su cui agire subito per frenare la fonte dei divari? Sono le norme di riferimento dei Piani di rientro dai disavanzi sanitari. Le regioni attualmente sotto Piano di Rientro per la Sanità sono Abruzzo, Calabria, Campania, Lazio, Molise, Puglia e Sicilia. Di queste, la Calabria e il Molise sono commissariate. I piani di rientro sono strumenti per gestire i disavanzi sanitari regionali e riequilibrare i conti dei servizi sanitari regionali ma molte di queste regioni sono in Piano di rientro dalla seconda metà degli anni 2000. Alcune sono state anche commissariate per più di un decennio. La normativa di riferimento delle regioni in Piano di rientro, al di là della necessaria strumentazione volta al contenimento della spesa ed al rientro dai disavanzi pregressi, assume talvolta tenore punitivo, invece che di accompagnamento e di supporto allo sviluppo e al miglioramento del servizio sanitario regionale. Ci si riferisce, in particolare, alle norme che impediscono alle regioni in Piano di rientro di applicare tariffe più elevate di quelle stabilite a livello nazionale oppure di erogare prestazioni extra-LEA. soprattutto a fronte dei ritardi con cui tariffe e LEA vengano aggiornati dal livello centrale. Tutte partite complesse e intrecciate ma da affrontare con Serietà e responsabilità, come invoca il ministro della Salute Orazio Schillaci.

Seguici!

Ultimi articoli

Medicina predittiva, ruolo dei big data e dell’intelligenza artificiale

La Fondazione Heal Italia lancia un programma pilota in...

Genoma Puglia: un modello riconosciuto come standard internazionale d’avanguardia

Il Brasile ha chiesto di collaborare ufficialmente con la...

Il Ddl Semplificazioni: le novità per i certificati di malattia e le ricette ripetibili

Il Ddl Semplificazioni è diventato Legge n. 182 del 2025,...

Onfoods, parte il primo master per l’onconutrizione

Nell'ambito di innovativi progetti internazionali per la salute, l’alimentazione...

Newsletter

Registrati e ottieni le nostre rassegne stampa in esclusiva!

spot_img

Da non perdere

Medicina predittiva, ruolo dei big data e dell’intelligenza artificiale

La Fondazione Heal Italia lancia un programma pilota in...

Genoma Puglia: un modello riconosciuto come standard internazionale d’avanguardia

Il Brasile ha chiesto di collaborare ufficialmente con la...

Il Ddl Semplificazioni: le novità per i certificati di malattia e le ricette ripetibili

Il Ddl Semplificazioni è diventato Legge n. 182 del 2025,...

Onfoods, parte il primo master per l’onconutrizione

Nell'ambito di innovativi progetti internazionali per la salute, l’alimentazione...

Contro le malattie respiratorie la vaccinazione viene in aiuto delle persone più fragili

Utilizzare tutti gli strumenti che abbiamo a disposizione per...
spot_imgspot_img

Medicina predittiva, ruolo dei big data e dell’intelligenza artificiale

La Fondazione Heal Italia lancia un programma pilota in 11 punti e una rete nazionale di centri digitali La medicina sta attraversando una fase di...

Genoma Puglia: un modello riconosciuto come standard internazionale d’avanguardia

Il Brasile ha chiesto di collaborare ufficialmente con la Puglia sullo screening genomico neonatale, il programma Genoma-Puglia."Siamo lieti di offrire la nostra collaborazione e...

Il Ddl Semplificazioni: le novità per i certificati di malattia e le ricette ripetibili

Il Ddl Semplificazioni è diventato Legge n. 182 del 2025, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 3 dicembre scorso dopo l'approvazione definitiva del Parlamento ed entrerà...

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui