Per far chiarezza nella prossima fase, potrebbe essere utile una patente di immunità?
La cosiddetta “fase 2” in questo momento è uno dei punti critici da affrontare e sta creando un dibattito che pone a confronto non solo decisori politici ma anche vari gruppi di studiosi di diverse discipline (economisti, sociologi, filosofi, giuristi, etc) imprenditori, sindacati. Ma la parola da più parti e con buonsenso, sembra stavolta dover essere lasciata ai tecnici (virologi, microbiologi, epidemiologi). Una delle soluzioni ipotizzate per tornare alla normalità è la cosiddetta patente di immunità, che teoricamente dovrebbe certificare se il soggetto che la possiede, sia immune o meno alla malattia. E certificando questo, dare garanzie sul suo stato di possibile paziente che può o meno ammalare, trasmettere o meno l’infezione. Ma questo oggi è ancora di gran lunga dibattuto a causa delle conoscenze sulla malattia non complete e quindi è causa di grande discussione tra gli stessi esperti.
Cerchiamo di fare chiarezza per prima cosa sul significato di “immune”: essere immune significa avere sviluppato gli anticorpi che ti proteggono dall’infezione, indipendentemente dal fatto di avere contratto la malattia con sintomi evidenti (sintomatico), oppure con sintomi lievi (paucisintomatico) oppure senza sintomi (asintomatico).
I meccanismi di difesa vengono attivati in diversi momenti, sviluppando le cosiddette immunoglobuline, che appunto sono gli anticorpi che attaccano il virus cercando di distruggerlo. Di queste immunoglobuline le prime a comparire sono le IgM, che si manifestano durante la fase piena infettiva. Mentre successivamente una volta spenta la fase acuta, in genere dopo circa 20-25 giorni, compaiono le IgG nel sangue dell’individuo che era stato infettato. Esse permangono a lungo e possono essere indizio di immunità. Quindi se le prime (IgM) testimoniano l’infezione in atto le seconde (IgG) testimoniano l’infezione pregressa. E’ evidente che nel caso dei pazienti paucisintomatici o asintomatici queste ultime siano molto importanti poiché non essendo stati fatti probabilmente i tamponi, il paziente potrebbe essere inconsapevole di aver avuto la malattia.
E’ ovvio che per garantire questi scenari occorre che i test che sanciscono la avvenuta immunità debbano essere quanto mai precisi ed affidabili. Ma oggi la situazione è questa?
Tamponi e test
E bene chiarire alcuni aspetti spesso motivo di confusione:
- i tamponi indagano la presenza del virus nelle mucose respiratorie
- i test sierologici indagano la presenza degli anticorpi nel sangue e possono essere rapidi (cioè ottenuti attraverso una goccia di sangue per puntura su un dito) o di laboratorio (cioè ottenuti attraverso un normale prelievo di sangue).
E’ evidente comprendere come questi esami abbiano 2 diversi obiettivi: i primi servono ad indicare la positività o meno di una persona e che quindi questa possa infettare altre persone, i secondi “potrebbero” servire ad indicare che la persona ha acquisito l’immunità e quindi “potrebbe” non reinfettarsi.
Diversi sono i dubbi però alla luce delle conoscenze attuali e riguardano i test sierologici: in presenza di IgG vi è ancora una capacità infettante residua e il valore protettivo che potrebbero avere nei confronti di una eventuale reinfezione qual è?
Infatti la situazione si complica poiché sappiamo che tutti i virus possono innescare un meccanismo di difesa che sfrutta gli stessi anticorpi, quindi per avere la certezza di essere immunizzati occorre avere i cosiddetti anticorpi IgG “neutralizzanti” cioè in grado di creare protezione per una reinfezione. I test oggi a disposizione sfortunatamente, non riescono a darci questa informazione in maniera assolutamente certa.
Inoltre l’accuratezza dei test sierologici è totale?
Pare di no poiché, anche se ad oggi la ricerca sta dando grandi risultati, ancora non possiamo dire con certezza che con questi test si possa dare la cosiddetta patente di immunità, come afferma il prof. Perno, ordinario di Microbiologia e Virologia al Niguarda di Milano. Speriamo questi risultati possano arrivare prima della partenza della fase 2, visto che molti gruppi di ricerca come quello di Padova del Prof. Crisanti e di Bonn del Prof. Streeck stanno portando le prime importanti evidenze sull’argomento.