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RISCHIO ARITMICO E IDROSSICLOROCHINA

I cardiologi lanciano l’allerta per il legame tra rischio aritmico e idrossiclorochina. Il monito è stato lanciato dalla cardiologia in tutto il mondo sugli studi Covid 19.

L’utilizzo dell’idrossiclorochina o della clorochina, come farmaci di primo intervento nella lotta al Covid-19 è oramai segnalato in tutti i documenti prodotti dalle regioni, dalle società scientifiche (MMG e specialisti). Tutto ciò nonostante vi siano pareri non sempre concordanti e nonostante tutti (compresa AIFA) indichino prudenza nell’utilizzo dato il rischio di eventi avversi prevalentemente a carico del sistema cardiovascolare.

Per chiarire il ruolo di questo farmaco e dare evidenze concrete/definitive sulla sua efficacia, sono stati impostati in tutto il mondo studi clinici randomizzati (cioè gli studi considerati migliori per esprimere evidenze scientifiche e nei quali i pazienti sono assegnati in modo casuale per ricevere un farmaco piuttosto che quello di confronto). Ma un articolo pubblicato dal Journal of American College of Cardiology (2020, 11 maggio. doi: 10.1016 / j. jacc.2020.05.008) lancia un monito importante su questi studi: in quasi tutti non è stata pensata ed inserita nel protocollo una valutazione dell’elettrocardiogramma (ECG) per escludere le persone a più elevato rischio di sviluppare una aritmia o per rilevare le persone che raggiungono un pericoloso intervallo QTc durante il trattamento. Infatti questi farmaci è noto possano dare un allungamento dell’intervallo QT. Spesso inoltre viene associata come terapia l’azitromicina che è un altro farmaco in grado di provocare lo stesso effetto, aumentando notevolmente il rischio di andare incontro a questo evento avverso.

rischio aritmico

A fine aprile ben 155 studi randomizzati compaiono su www.clinictrials.gov con questi farmaci e sono in corso i tutto il mondo con un numero enorme di pazienti trattati e da trattare (oltre 85.000 persone sane) ma solo sei studi relativamente piccoli tra questi 155 includono un piano per lo screening e il monitoraggio dell’ECG nel loro protocollo.

Il problema è che tutti e tre gli agenti coinvolti negli studi (idrossiclorochina, clorochina e azitromicina) potendo provocare allungamento dell’intervallo QT corretto (QTc) creano il rischio di una aritmia pericolosa per la vita se studiati senza screenare i pazienti a rischio elevato di aritmie. Gli autori indicano di conseguenza i valori soglia di QTc per la esclusione dei pazienti dalla terapia di profilassi e dagli studi che sono: QTc a riposo alla valutazione basale superiore a 450 msec, nonché interruzione immediata del trattamento per chiunque sviluppi un QTc a riposo superiore a 480 ms durante il trattamento.

Aggiungono anche che i valori indicati sono conservativi per il ritiro di un soggetto dagli studi, ma che questo sia opportuno poiché per i pazienti ad alto rischio di aritmia la gravità dell’evento avverso (morte improvvisa) può essere peggiore della ridotta incidenza di infezione COVID -19 o della ridotta sintomatologia degli infetti.

“Lo screening ECG non potrà annullare bensì ridurlo al minimo il rischio, mettendo in sicurezza i pazienti più pericolosi dal punto di vista cardiovascolare, che stimanti epidemiologicamente sulla popolazione di 85.00 persone potrebbero essere circa 3.400 (4%, che in alcune popolazioni di origine africana potrebbe arrivare al 10% circa)

I ricercatori di uno studio partito a Toronto hanno già provveduto a cambiare il protocollo dopo queste indicazioni. Il legame tra rischio aritmico e idrossiclorochina non va quindi sottovalutato, ma la situazione va attentamente monitorata.

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