Il tema dell’aderenza alle cure scotta perché purtroppo i livelli raggiunti dai pazienti sono ancora molto bassi nel nostro Paese.
L’aderenza alle cure è mediamente molto bassa e varia in base alla patologia: si passa da una percentuale compresa fra 52% e 55% per osteoporosi e ipertensione arteriosa, a meno del 20% per la cura dell’asma. Il dato tende a peggiorare in modo particolare fra i 6 e i 12 mesi dall’inizio della terapia.
Le cause della scarsa aderenza alle cura sono di varia natura e comprendono la complessità del trattamento, l’inconsapevolezza della malattia, il follow-up inadeguato, timore di potenziali reazioni avverse, il decadimento cognitivo e la depressione, la scarsa informazione in merito alla rilevanza delle terapie, il tempo mancante all’operatore sanitario spesso oberato da pratiche burocratiche che sottraggono spazio fondamentale al confronto con il paziente. Tutti aspetti che si complicano in base all’età del paziente e alla concomitanza di poli-patologie.
Le paure del paziente sono una delle principali cause della scarsa aderenza e della continuità terapeutica. Le spiega Alessandro Navazio, Direttore della Cardiologia dell’AUSL di Reggio Emilia.
«Molti pazienti rifiutano la terapia perché temono di doverla prendere per tutta la vita; c’è una diffidenza non giustificata rispetto al farmaco da prendere, penso alle statine, perché viene considerato pericoloso “per sentito dire”; spesso il rifiuto è anche legato al numero di farmaci che già assume il paziente. C’è da fare un’informazione più accurata ed efficace e noi come specialisti dobbiamo fare un’opera di persuasione sul paziente quando la nostra prescrizione è veramente sostenuta da evidenze scientifiche, altrimenti non avremo mai i livelli di aderenza che auspichiamo. Vanno scardinate le credenze popolari, i tabù. È fondamentale, oltre ad andare alla ricerca dei pazienti ad alto rischio per trattarli prima che qualcosa accada, che è il principio della “medicina di iniziativa”, fare anche accettare le terapie e spiegare perché sono importanti coinvolgendo anche il caregiver”».
Le cause e l’impatto economico del fenomeno sono spiegati da Giuseppe Turchetti, Professore Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.
«Il problema dell’aderenza è molto rilevante e anche addirittura sottodimensionato, perché da un lato i pazienti cercano di nasconderlo, dall’altro non abbiamo ancora piena conoscenza del rapporto tra consegna dei farmaci anche all’interno delle farmacie ospedaliere e relativo consumo.
Le implicazioni non sono solo in termini di salute, ma anche economiche. Dati alla mano, il rischio di ospedalizzazioni, di riospedalizzazioni o di morte prematura fra i non aderenti è di 5 volte maggiore ai pazienti che sono aderenti alle terapie. Come riuscire a gestire questa problematica è complesso, perché non richiede una sola misura, ma interessa un coacervo di misure che devono andare a interessare diversi fattori».
Paola Pisanti, Consulente Esperto Malattie Croniche del Ministero della Salute e Presidente FareRete Bene Comune sottolinea il ruolo degli stili di vita.
«Vorrei precisare cosa vogliamo dire con aderenza: innanzitutto non solo aderenza ai farmaci, ma anche alla diagnostica e aderenza a quelle che sono le indicazioni ai comportamenti e agli stili di vita. Una delle cose più difficili è appunto far cambiare alcuni stili di vita. Il Piano della cronicità è partito da cosa è l’aderenza: sia quella della persona che, affetta da malattia cronica, aderisce a un percorso, sia quella degli operatori; l’operatore deve essere aderente alle evidenze scientifiche provenienti dalle linee guida e/o dal real world, che hanno permesso di disegnare il percorso del paziente. Sicuramente agisce molto la condizione e lo stato clinico del paziente, la patologia o le pluripatologie da cui è affetto quindi l’utilizzo di polifarmaci.
Ma spesso agisce anche l’inconsapevolezza dell’importanza, per la propria salute, di seguire la prescrizione per lungo periodo. Le statistiche dicono che, nel corso del tempo, l’aderenza tende a ridursi addirittura del 50%. Molte volte c’è la convinzione che i benefici dei farmaci siano inferiori all’impegno che viene chiesto alla persone per seguire la terapia, poi c’è la complessità nella gestione, la mancanza a volte di un caregiver, le convinzioni errare e irrazionali dei farmaci. In tutto ciò il ruolo del farmacista può essere di grande aiuto per migliorare l’aderenza, anche per quanto riguarda il discorso del cambiamento degli stili di vita. Inoltre occorre inserire il malato nel percorso specifico: con follow up, definizione dei controlli, counseling, gestione terapeutica».
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