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Aids, giornata mondiale: epidemia dimenticata, serve una nuova consapevolezza

Quaranta anni fa eravamo in piena epidemia di AIDS, e la comunità mondiale, oltre a quella scientifica, aveva gli occhi puntati su quella epidemia che continuava a mietere morti e che non si riusciva ad arrestare, anche per la reticenza di parlare di temi relativi alla sessualità e all’uso di preservativi, per il timore che potessero concorrere all’aumento della promiscuità che i metodi anticoncezionali e la rivoluzione femminile stavano determinando dopo il ‘68.

Eppure il rischio di una diffusione globale da parte di un virus che si integrava stabilmente e permanentemente nel genoma umano poche ore dopo l’infezione determinò in quegli anni un forte movimento da parte di virologi ed immunologi, consapevoli dell’enorme rischio per l’intera umanità, che assunsero un ruolo di responsabilità sociale ed usarono tutte le strategie possibili per contenere la trasmissione e la diffusione di un virus, anche in contrapposizione alle posizioni di benpensanti e degli strati morigerati della popolazione, che invece sostenevano la linea dell’astinenza divulgata dalla Chiesa e prescritta anche dalle istituzioni civili, come la lettera inviata dal Ministro della Sanità Carlo Donat-Cattin.


In quegli anni lo sviluppo di efficaci test diagnostici e di terapie antivirali, l’introduzione di test di screening per le trasfusioni e le donazioni d’organo, e l’espletamento di test diagnostici protettivi per gli operatori sanitari per tutti gli atti terapeutici che determinassero la presenza di liquidi biologici, in particolare sangue, hanno permesso la riduzione della diffusione delle infezioni da HIV e della sindrome da immunodeficienza.


Quale è lo stato attuale? “La diagnosi di infezione da HIV oggi può avvantaggiarsi di test molto specifici e di altissima sensibilità – spiega Franco Bonaguro virologo primario emerito del Pascale e ruoli nelle società scientifiche internazionali – e la terapia attuale può far uso di una singola pillola al giorno (come l’ipertensione ed altre patologie croniche) disponibile per i costi anche alle popolazioni dei paesi in via di sviluppo o, con una terminologia più socialmente corretta, dei Paesi a basso e medio reddito. Inoltre sono in fase di sviluppo e di espletamento l’uso di trattamenti parenterali a rilascio lento semestrali e finanche biennali. Quindi sebbene non sia stato ancora possibile sviluppare un vaccino preventivo efficace, i trattamenti farmacologici, hanno raggiunto una efficace del tutto insperata in precedenza, con l’azzeramento della carica virale (e la conseguente possibilità di procreare figli sani non esposti all’HIV, sintetizzato dal messaggio di educazione sanitaria U=U, Undetectable = Untransmittable) e con la possibilità di prevenire l’infezione di soggetti a rischio con l’uso di trattamenti farmacologici preventivi PrEP (Profilassi Pre-Esposizione).


Tutto ciò farebbe pensare che il mondo stia uscendo da un incubo. Ma purtroppo non è proprio così. Sebbene, a livello sociale, siano stati superati tanti aspetti negativi sullo stigma di omosessualità, promiscuità e positività all’HIV, forse è a livello individuale che non si ci è resi conto che l’accettazione di comportamenti a maggior rischio di esposizione di agenti infettivi (incluso HPV, HBV, HCV, sifilide e le varie patologie a trasmissione sessuale) richiedono necessariamente misure sanitarie preventive per il benessere individuale e dei propri cari”
Questo dunque adesso il compito di media e di divulgatori sanitari mettere enfasi sulla necessità di effettuare test diagnostici e per quelli a maggiore rischio di utilizzare metodi di prevenzione quali la vaccinazione per l’HPV e la profilassi farmacologica pre-esposizione.


“Dopo il lockdown del COVID e l’isolamento sociale, parallelamente al bisogno di socializzazione si è avuto un’impennata di malattie associate alla promiscuità – continua Bonaguro – quali l’aumento dei casi di vaiolo della scimmia e di HIV in Europa ed in Italia (con circa 200 casi7 anno di nuove infezioni da HIV in regione Campania). In questi giorni sono stati riportati 8 casi di infezioni da HIV in bambini Talassemici in India per trasfusioni di sangue infetto.

L’HIV non è scomparso, e sebbene l’Amministrazione americana abbia deciso di non celebrare la giornata mondiale dell’AIDS, è compito della società civile e della comunità scientifica richiamare l’attenzione generale su questo tema. Soprattutto le malattie trasmissibili vanno combattute insieme. Lasciare indifese nicchie di povertà o di emarginati, incluse le popolazioni migranti, mette a rischio l’intero contesto sociale, salvo costruire ghetti o aree di segregazione dove tenere rinchiusi quanti non siano in grado di provvedere alla propria salute”. Vaccinarsi, sottoporsi a test diagnostici e di prevenzione pre-esposizione sono segni di cultura, di benessere socio-economico e di capacità di programmare la salute personale e dei propri cari.

Fermare l’epidemia da Hiv è ancora possibile Occorre dunque riportare la lotta al virus al centro dell’agenda politico-sanitaria italiana e migliorare l’accesso ai trattamenti con politiche mirate e la collaborazione con le comunità scientifiche e civili con l’obiettivo di porre fine all’epidemia e migliorare la vita delle persone che vivono con l’HIV. Ma qual è la situazione dell’epidemia nelle Regioni italiane?

La situazione L’epidemiologica dell’HIV in Italia è preoccupante. Nel 2024, sono state registrate 2.379 nuove diagnosi di infezione da HIV, pari a un’incidenza di 4 casi per 100.000 residenti. Questo valore è inferiore rispetto alla media dell’Europa occidentale (5,9 per 100.000) ma in aumento rispetto ai lustri precedenti. Il 79% delle nuove diagnosi riguarda maschi, con un’età mediana di 41 anni. La trasmissione sessuale è la principale via di diffusione del virus (87,6% dei casi). Il 46% delle nuove diagnosi è attribuibile a rapporti eterosessuali, mentre il 41,6% riguarda uomini che fanno sesso con uomini (MSM).


Il 60% delle persone scopre l’infezione quando il sistema immunitario è già compromesso. Le regioni più colpite sono Lazio, Toscana ed Emilia-Romagna in un contesto generale in cui aumentano le diagnosi tardive (60% dei casi), c’è una scarsa percezione del rischio tra gli adulti e la necessità di migliorare l’accesso ai test e alle terapie. È fondamentale intensificare gli sforzi per la prevenzione e la diagnosi precoce dell’HIV in Italia dunque agendo sulle “antenne” territoriali rappresentate dai centri di screening in anonimato e dalle unità di malattie infettive a fronte del gran numero di giovani, in media sui 25 anni, affetti da HIV ma inconsapevoli di aver contratto l’infezione.

È un enorme problema, sia per la salute di questi ragazzi, sia perché per anni possono inconsapevolmente trasmettere il virus sia per la loro salute. È determinante riuscire a fare diagnosi tempestive e più prevenzione. Con l’introduzione dei potenti regimi di terapia antiretrovirale (Haart) nella pratica clinica a partire dalla metà degli anni ’90, anche in Italia nel corso del 1996 si osservava una diminuzione dei nuovi casi di Aids (- 12%) e dei decessi correlati all‘Aids (- 10%) rispetto al 1995. Da allora si è osservato un continuo decremento delle diagnosi e dei decessi, principalmente attribuibile all‘aumento della sopravvivenza e del periodo libero da malattia conclamata piuttosto che ad una diminuzione delle infezioni. Tali variazioni hanno reso tuttavia sempre più difficile ottenere una stima delle infezioni da Hiv sulla base delle segnalazioni dei casi di Aids.


Negli ultimi anni la situazione epidemiologica è radicalmente cambiata con l‘evidente impatto della trasmissione per via sessuale e la riduzione di quella legata all‘uso di droghe per cui oggi non si può più parlare di vere e proprie categorie a rischio e la trasmissione riguarda sia i giovani che gli adulti sessualmente attivi. Da rilevare però ci sono i successi dei trattamenti farmacologici dell‘infezione da Hiv che hanno contribuito a determinare la riduzione dell‘incidenza di Aids. Così come la possibilità di offrire agli individui infetti, ma ancora asintomatici, terapie efficaci nel ritardare l‘evoluzione in Aids e nel migliorare la qualità della vita. La maggiore sopravvivenza delle persone Hiv-positive si è poi tradotto in un numero sempre più elevato di persone infette viventi.


Gli elementi salienti da considerare sono tuttavia l‘insufficienza delle informazioni fornite dalla sorveglianza dei casi di Aids nel descrivere l‘epidemia da Hiv a fronte della disponibilità di nuove terapie che consentono di allungare la sopravvivenza dei soggetti Hiv positivi, migliorando altresì la loro qualità di vita. Intanto un numero progressivamente crescente di persone Hiv-positive viventi prelude ad un’ulteriore diffusione dell‘epidemia alimentata anche dalla maggiore mobilità di persone provenienti da aree ad alta endemia di Hiv. La principale raccomandazione di organizzazioni internazionali (Oms, Unaids, Ue, Ecdc) è quella di istituire sistemi di sorveglianza per l‘infezione da Hiv a copertura nazionale e l‘esigenza di riorganizzare e razionalizzare l‘offerta del test Hiv sul territorio.


Un altro dato particolarmente interessante riscontrato nel 2023 riguarda l’incremento delle nuove diagnosi di infezione da Hiv osservato tra la popolazione di nazionalità italiana, confermando il trend già osservato nel 2022 e nel 2023. Se negli ultimi anni dello scorso decennio l’uso di sostanze stupefacenti per via endovenosa risultava essere la modalità di contagio in circa il 20% delle nuove diagnosi oggi si conferma il trend in discesa degli ultimi anni. Dato particolarmente interessante è il riscontro di un nuovo incremento della percentuale di pazienti che si presenta alla diagnosi come late presenters (<350 CD4 alla diagnosi di HIV o concomitante diagnosi di Hiv/Aids indipendentemente dalla conta dei CD4).

Seppur numerose e diverse iniziative sono state attuate negli ultimi anni al fine di una diagnosi precoce, tale dato evidenzia come bisogna ancora insistere e perseverare per raggiungere e migliorare l’obiettivo di individuare e rilevare nella maggior parte dei casi i pazienti in fase precoce di infezione. Ciò andrebbe ovviamente ad impattare sulla prognosi del paziente e sui costi derivanti da una diagnosi tardiva per la collettività. Nella maggior parte dei centri dotati di screening in anonimato la presa in carico del paziente con HIV avviene a 360 gradi.


Oltre alla gestione clinica tradizionale ci sono sempre ambulatori dedicati alla prevenzione, inclusa la profilassi pre-esposizione (PrEP), che è una strategia preventiva che consiste nell’assunzione regolare di farmaci antiretrovirali da parte di persone Hiv-negative ad alto rischio di infezione e che può ridurre il rischio di contrarre l’Hiv fino al 99% se assunta correttamente, oltre i servizi di screening essenziali per la diagnosi tempestiva di diverse malattie infettive a trasmissione sessuale, compreso l’Hiv. Strumenti cruciali nella prevenzione dell’HIV, nonché strategie raccomandate dalle linee guida europee e italiane sono, oltre alla PrEP, anche la PEP (Profilassi Post-Esposizione), ovvero un trattamento d’emergenza che deve essere iniziato entro 72 ore da una potenziale esposizione all’HIV, come rapporti sessuali non protetti o esposizione professionale.

Oggi i soggetti affetti da infezione di HIV hanno una prognosi ed una qualità della vita sovrapponibile a quella della popolazione senza tale infezione grazie alla terapia antiretrovirale (ART), ma è fondamentale la diagnosi precoce. Secondo le linee guida europee dell’EACS (European AIDS Clinical Society), l’inizio precoce di tale trattamento può sopprimere la replicazione virale a livelli non rilevabili nel sangue, prevenendo la progressione dell’infezione verso l’AIDS e permettendo alle persone che ne sono affette di avere un’aspettativa di vita simile a quella della popolazione generale.

Nonostante l’enorme efficacia del trattamento dell’infezione oggi, un aspetto preoccupante resta quello legato alla sua diagnosi, poiché oltre il 60% di queste diagnosi avviene in fase tardiva, quando il sistema immunitario è già compromesso o, peggio, nel 28% dei casi, quando si è già sviluppato l’AIDS, con un aumentato rischio di complicanze cliniche per il paziente e di trasmissione del virus ad altri soggetti. Questo sottolinea l’importanza di strategie efficaci per promuovere il testing precoce e regolare tra le popolazioni a rischio.

Le diagnosi tardive sono spesso il risultato di una bassa percezione del rischio, della mancanza di sintomi specifici nelle fasi iniziali dell’infezione e dello stigma associato all’HIV. Per migliorare questa situazione, è fondamentale aumentare la consapevolezza pubblica sull’importanza del testing regolare, promuovere campagne di sensibilizzazione e ridurre lo stigma attraverso l’informazione.

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