Individuati i meccanismi che aggirano le difese materne. Studio guidato dal Policlinico San Matteo di Pavia apre nuove strade per diagnosi e vaccini
Citomegalovirus, un patogeno diffuso, e che resta latente per tutta la vita, si riattiva nei momenti di vulnerabilità e può compromettere la salute del feto anche quando la gestante crede di essere protetta. È questa l’ evidenza emersa dallo studio Child, una delle più ampie analisi mai condotte sul tema, che ha coinvolto oltre 10.000 gravidanze e che oggi riscrive le regole della medicina prenatale.
“Il Citomegalovirus può colpire il feto anche quando la madre è già entrata in contatto con il virus prima della gravidanza”, hanno scritto i ricercatori del Policlinico San Matteo di Pavia, che firmano una ricerca destinata a lasciare il segno. Lo studio, finanziato dalla Fondazione Regionale per la Ricerca Biomedica e condotto in collaborazione con altri dieci ospedali lombardi, ha analizzato migliaia di casi.
Nota come una delle principali responsabili di sordità congenita e ritardi nello sviluppo psicomotorio, l’infezione congenita da CMV colpisce circa 1 neonato ogni 150, con complicanze permanenti in 1 caso su 6. Eppure, fino a oggi, si riteneva che un contatto precedente con il virus conferisse una protezione significativa alle future madri. Lo studio Child ribalta questa convinzione, portando alla luce un dato disarmante: l’immunità non è sempre efficace.
“In particolare — hanno sottolineato Fausto Baldanti, direttore Microbiologia e Virologia del San Matteo, e Daniele Lilleri, microbiologo e primo autore dello studio — è presente un numero ridotto di linfociti T della memoria, fondamentali per una risposta rapida ed efficace”. La spiegazione è tanto semplice quanto inquietante: gli anticorpi neutralizzanti, pur presenti, non bastano da soli a proteggere il feto. Nei casi di infezione congenita, gli anticorpi materni si rivelano insufficienti nell’attivare le cellule Natural Killer, un presidio essenziale nella difesa antivirale.
Per la prima volta, grazie a questa ricerca, vengono identificati con precisione i difetti immunologici che espongono il feto al rischio di contagio anche in donne apparentemente protette. Una scoperta che consentirà di migliorare le strategie diagnostiche in epoca prenatale, e getta le basi per lo sviluppo di vaccini efficaci contro il CMV.
Il virus, comune e spesso silenzioso, si comporta come un ladro invisibile: resta latente per anni e si risveglia nel momento in cui l’organismo è più vulnerabile, come durante la gravidanza. Il sistema immunitario, in questi casi, non è sempre pronto a rispondere in modo tempestivo ed efficace. E quando il nemico si insinua nel silenzio delle cellule, la protezione dell’immunità acquisita può non essere abbastanza.
Questa nuova consapevolezza impone alla comunità scientifica un cambio di passo. Non basta più contare sull’immunità pregressa: servono strumenti mirati, vaccini personalizzati, protocolli di screening più accurati. Il lavoro del Policlinico San Matteo, con la sua rete di collaborazioni e il rigore dell’analisi, rappresenta una svolta che potrebbe salvare migliaia di vite e contribuire a riformulare le linee guida internazionali sul monitoraggio delle gravidanze. Grazie alla ricerca, anche l’immunità potrà essere interrogata, ripensata e potenziata.





