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Dal dono ai legami generazionali – Clinica dell’anima familiare

“I legami familiari si costruiscono sul dono e sull’atto del donare. Fare famiglia vuol dire avere la capacità di perdere per guadagnare. In chimica gli atomi per formare le molecole perdono elettroni nelle loro orbite esterne, al fine di avvicinarsi ai gas nobili. Allo stesso modo, per fare coppia dobbiamo mettere insieme due storie personali, familiari e generazionali. In parole povere dobbiamo donarci all’altro”.

Psicologo e psicoterapeuta a indirizzo sistemico relazionale, il Prof. Mariano Indelicato è docente incaricato di Psicologia dello Sviluppo presso l’Università degli Studi di Messina. Nella sua attività clinica si è da sempre interessato al significato che i sintomi assumono nel contesto relazionale e di vita dei pazienti. 

Impegnato nell’approfondimento del modello relazionale simbolico teorizzato all’interno del Centro Studi della Famiglia dell’Università Cattolica di Milano da Eugenia Scabini e Vittorio Cigoli, è autore dell’opera Dal dono ai legami generazionali – Clinica dell’anima familiare da poco uscita in libreria con la casa editrice Aracne e le prefazioni a cura del Sociologo della comunicazione, associato e delegato alla comunicazione Unime Francesco Pira e di Padre Orazio Barbarino.

Prof. Indelicato, il libro risponde a quale esigenza?

“Il libro nasce dall’esigenza di rimettere in risalto il valore del dono come equivalente simbolico che permette di costruire e fare legame con l’altro. Il valore del dono come simbolo per costituire legami interpersonali e sociali, per moltissimi anni, anzi millenni, ha costituito l’asse portante e centrale dell’essere e del fare comunità. Infatti, oltre ai dettami della cultura cristiana anche la cultura greca e in seguito quella romana hanno dato grande importanza al dono. Le popolazioni della Polinesia erano convinti che il dono contenesse il “mana” che, tradotto in italiano, significa “forza vitale” o “forza che viene da dentro”. Mircea Eliade sostiene che per l’uomo arcaico un oggetto animato o inanimato che sia nel momento in cui si manifesta è dotato di una sua forza vitale. Il dono ha una sua forza vitale che gli dà il potere di stabilire il legame con l’altro attraverso il ciclo del donare, ricevere, ricambiare. Tutte le culture antiche, da quella greca con il rituale dello “xenia”, ovvero il legame che si costituiva tra ospitante e ospite, a quella romana attraverso il dono come simbolo del riconoscimento reciproco e dell’appartenenza, a quella ebraica e cristiana, mettono in risalto il dover perdere in individualità in modo da poter costruire i legami familiari e sociali. Il nostro sistema sociale sotto la spinta del positivismo e del modernismo ha inserito come unità fondamentale per i rapporti sociali l’utilità che ha  comportato la grande crisi culturale e sociale che stiamo vivendo in questi anni. Dobbiamo riiniziare a dare importanza ai legami che si costruiscono sul dono piuttosto che sull’utilità”.

Lavorare con le famiglie oggi cosa significa? 

I legami familiari si costruiscono, come scrivo nel libro, sul dono e sull’atto del donare. Fare famiglia vuol dire avere la capacità di perdere per guadagnare. In chimica gli atomi per formare le molecole perdono elettroni nelle loro orbite esterne, al fine di avvicinarsi ai gas nobili. Allo stesso modo, per fare coppia dobbiamo mettere insieme due storie personali, familiari e generazionali. In parole povere dobbiamo donarci all’altro. Le famiglie, inoltre, si costruiscono attorno a due assi: l’ethos e il pathos. Il primo polo rappresenta le esigenze etiche e di giustizia, mentre il secondo le esigenze emotive e di attrazione basate sulla fiducia e sulla speranza. Per molti secoli le famiglie sono state costruite e guidate dai principi etici, mentre oggi è il pathos a guidare le scelte. Quest’ultimo, però, per sua natura è capriccioso e se non sottoposto ai principi etici rischia di far vivere il legame familiare in un equilibrio precario che mette a repentaglio continuamente la relazione di coppia. Lacan sosteneva che il godimento del desiderio è possibile solo all’interno della legge: oggi è il desiderio a farla da padrone spesso non sottoposto a nessun principio di carattere etico. Inoltre, la famiglia è il luogo della trasmissione generazionale poiché all’interno della generatività si trasmettono eredità di beni, status familiare e il nome, si tramanda il sistema valoriale che deve essere rielaborato dalla nuove generazioni attraverso il trasgredire. In sostanza, all’interno del teatro familiare va in scena il continuo rinnovo del patto generativo in modo che l’individuo possa riconoscersi e nello stesso tempo sviluppare il senso di appartenenza. Oggi dobbiamo confrontarci con la complessità dovuta a quella che Baumann ha definito società liquida in cui anche i rapporti e le relazioni sono diventati liquidi ed abbiamo a che fare con le famiglie allargate costituite da molti “padri” e “madri”  in cui riconoscersi e appartenere diventa sempre più difficile”.

Abbiamo detto che l’atto del donare si inserisce all’interno di un triangolo sacro costituito dal donare, ricevere e ricambiare. Ci può spiegare meglio questo passaggio? 

“Fare un regalo sembrerebbe, a prima vista, un gesto apparentemente semplice, eppure crea una relazione tra donatore e ricevente. Infatti, ricevere un dono comporta quasi un obbligo a ricambiare. Il legame si nutre di questo continuo e perpetuo scambio. Il triangolo è sacro poiché precede sul piano culturale la nascita dello stesso individuo. Prende spunto, infatti, dal dono della vita: io dono la vita nella speranza e nella fiducia che tu donerai la vita. Questo paradigma permette la continuazione della specie umana. Il cristianesimo nasce dal dono della vita: Dio si dona agli uomini attraverso Gesù di Nazareth e, quest’ultimo, dona la vita per la salvezza dell’intera umanità. Nella cultura latina il latina il padre (ricordiamo che nell’antica Roma i figli erano dei padri) è il “beneficium datae vitae” che fa nascere un legame incondizionato e non risarcibile poiché “le eventuali controprestazioni che quest’ultimo potrebbe erogare a vantaggio del padre dipendono tutte, in ultima analisi, da quel primo beneficio paterno, senza dunque mai poterlo appieno eguagliare.” Il dare la vita, il dono della vita crea un legame inscindibile fra le generazioni. Eppure la società capitalistica, in nome di un razionalismo imperante, mette in campo una nuova visione per cui anche il trasmettere la vita diventa un calcolo di tipo economico ovvero si devono analizzare i vantaggi e gli svantaggi della scelta. Un esempio del dramma esistenziale tra il dare e il negare la vita lo troviamo nello splendido romanzo di Oriana Fallaci “Lettera a un bambino mai nato” in cui l’autrice conclude in questo modo: ‘Io perfino nelle pause in cui piango sui miei fallimenti, le mie delusioni, i miei strazi, concludo che soffrire sia da preferirsi al niente. E se allargo questo alla vita, al dilemma nascere o non nascere, finisco con l’esclamare che nascere è meglio di non nascere’”.

Il dono come generatore di legami è in grado di spiegare, quindi, molti dei fenomeni patologici con cui ogni giorno i terapeuti si confrontano nelle stanze di terapia. 

Al fine di una mente e di relazioni in salute, cosa resta da fare, quindi, in una società come quella attuale alle prese, peraltro, con un momento storico colmo di incertezze e nuove sfide?

“Molte delle attuali patologie nascono dalla mancata capacità di poter attraversare il “vuoto” che tante volte è stato descritto in ambito fisico, filosofico e psicologico. In ambito clinico il termine vuoto è stato utilizzato a partire da Winnicott, per arrivare a Crepet in riferimento al rischio suicidario degli adolescenti, alla Romaioli, a Bion con la sua teoria degli oggetti bizzari, a Recalcati sui  disturbi alimentari e sulle psicosi. Identificare lo spazio in cui si formano i legami significa dare risalto ad una realtà esterna all’individuo e, soprattutto, coglierne e analizzarne l’essenzialità ovvero se i suddetti spazi sono vuoti o contengono al loro interno nuclei ed informazioni essenziali ai fini dello sviluppo dell’individuo, dei legami e delle relazioni. Il vuoto non è il nulla ma, semmai, come sostenuto da Heidegger  e da Sartre,  è il contenitore dei contenuti: “il nulla è dato come ciò per cui il mondo riceve i suoi contenuti di mondo”. D’altronde, nella loro visione il nulla è tale solo attraverso un processo di nullificazione la cui negazione porta all’angoscia e al rifiuto del mondo. Forse all’interno di questo processo di negazione che riguarda l’essere e il non essere si possono trovare le spiegazioni di una sindrome ovvero il ritiro sociale dell’Hikikomori. È lo stesso vortice che inghiotte chi soffre di attacchi di panico che si trova a contrastare la paura del non esserci, la paura della non esistenza, la paura della morte. Così come per gli Hikikomori la ricerca è la via di fuga che possa permettere di sfuggire al nulla rappresentato dalla morte. E così nella melanconia del tempo sospeso della depressione. I depressi onde evitare di cadere nel vuoto di esperienze angoscianti precedenti vivono in un prima che, non presupponendo un dopo, annulla il presente. Sant’Agostino ci insegna che passato e  futuro vengono legate nel tempo presente e, quindi, le proiezioni future sono possibili solo nella misura in cui siamo disposti a scendere nei ricordi passati. Andando indietro dobbiamo immergerci nel vuoto alla ricerca del non essere, alla ricerca del punto di partenza come indicano Winnicott, Heidegger e Sartre, alla ricerca delle origini in modo da appartenere ad una storia in cui poterci riconoscere. Il corpo non è esente da questi mancati processi di riconoscimento e, quindi, ecco l’emergere sul piano metaforico dei diversi disturbi alimentari come l’anoressia, la bulimia, il binge eating disorder e così via”.

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