I dermatologi ospedalieri e ambulatoriali (Adoi e Aida) contro la proposta Fimmg di attrezzare gli studi medici: “No alla banalizzazione della prevenzione”. Scotti replica: “Utile integrazione di competenze a livello del territorio”
La diagnosi precoce del melanoma rappresenta una delle sfide cruciali della dermatologia moderna. In un sistema sanitario che punta all’efficienza e alla riduzione delle liste d’attesa, si moltiplicano le proposte per ampliare le competenze dei medici di medicina generale. Ma quando si parla di strumenti come il dermatoscopio, utilizzato per la mappatura dei nei e l’individuazione di lesioni cutanee sospette, il dibattito si accende. È quanto sta accadendo in Italia, dove la proposta di estendere l’uso del dermatoscopio ai medici di famiglia ha scatenato una vera e propria contrapposizione tra le associazioni dei dermatologi e la Federazione italiana dei medici di medicina generale (Fimmg).
La scintilla è partita da una proposta avanzata da Silvestro Scotti, segretario generale della Fimmg, che ha rilanciato l’idea di dotare i medici di medicina generale di dermatoscopi per migliorare, all’occorrenza, la capacità di visualizzare lesioni cutanee sospette, come il melanoma, che potrebbero sfuggire o essere equivocate se osservate solo a occhio nudo. Una proposta che, secondo Scotti, non punta a sostituire gli specialisti, ma a rafforzare il primo livello di assistenza attraverso modelli di integrazione tra territorio e specialisti. Ovviamente i casi dubbi o sospetti verrebbero poi avviati alla consulenza specialistica.
L’altra campana non si è fatta attendere. “La prevenzione oncologica dermatologica non è un atto burocratico, ma una valutazione clinica complessa che richiede esperienza, formazione specialistica e continuo aggiornamento”, ha obiettato Davide Melandri, presidente Adoi, Associazione Dermatologi-Venereologi Ospedalieri Italiani e della Sanità Pubblica. Una posizione condivisa anche da Aida, Associazione Italiana Dermatologi Ambulatoriali, che in un comunicato ha manifestato forte contrarietà alla proposta della Fimmg.
“La diagnosi precoce del melanoma e degli altri tumori cutanei si fonda su competenze specifiche che solo i dermatologi possiedono”, ha precisato Domenico Piccolo, presidente Aida. “La mappatura dei nei non è una semplice fotografia, ma un’analisi che integra anamnesi, valutazione clinica, riconoscimento delle lesioni sospette e decisione su eventuali approfondimenti diagnostici”. Viviana Schiavone, vicepresidente Aida, ha aggiunto: “Non si può pensare di ridurre le liste d’attesa spostando competenze specialistiche su figure non adeguatamente formate”. E Cesare Massone, vicepresidente Adoi, ha sottolineato i rischi medico-legali: “Scambiare un melanoma per una verruca seborroica può avere conseguenze drammatiche per il paziente ma anche per il medico”.
Le due associazioni ribadiscono la disponibilità a collaborare con le istituzioni per costruire modelli organizzativi efficaci, ma respingono con forza soluzioni improvvisate che, a loro dire, rischiano di trasformare la prevenzione in un mero atto burocratico, senza garantire la sicurezza dei pazienti. Paradossalmente, aggiungiamo noi, c’erano più strumenti per la semeiotica nell’ambulatorio del medico condotto, sessanta anni fa, di quanti se ne vedono oggi in tanti studi della medicina di base. Eppure la tecnologia ha fatto passi da gigante, perché restare indietro e legare le mani ai professionisti delle cure primarie?
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La replica della Fimmg alle osservazioni dei dermatologi Adoi e Aida non si è fatta attendere. “Non esiste alcun tema divisivo, ma solo la volontà comune di offrire ai pazienti le migliori cure, nel rispetto dell’appropriatezza e dell’ottimizzazione delle risorse disponibili”, ha dichiarato Silvestro Scotti. “Non abbiamo mai pensato a screening di massa, ma a un miglioramento della valutazione durante la visita del medico di famiglia, qualora emergesse un nevo o una lesione sospetta”. Scotti ha ricordato che la proposta si ispira a un progetto ideato cinque anni fa dalla professoressa Gabriella Fabbrocini dell’Università Federico II di Napoli, che prevedeva la formazione dei medici di famiglia e l’integrazione con il secondo livello specialistico. “Oggi, con telemedicina e intelligenza artificiale, i benefici sono ancora più evidenti”, ha aggiunto.
Il segretario generale Fimmg ha poi criticato l’atteggiamento di chi, a suo dire, ostacola l’evoluzione della medicina territoriale: “Siamo stanchi di essere etichettati come i responsabili delle liste d’attesa. Quando chiediamo strumenti per aumentare la nostra capacità di assistenza, gli stessi che ci accusano si oppongono”. Scotti ha anche ricordato l’esperienza delle USCA durante la pandemia, dove giovani medici e medici di famiglia, con una formazione rapida, utilizzavano ecografi portatili per valutare la presenza di polmoniti nei pazienti positivi al Covid. “La formazione sul campo è un valore”, ha affermato.
Quanto alla proposta di dotare i medici di famiglia di dermatoscopio, Scotti ha citato lo studio condotto in collaborazione con l’Università Federico II, che evidenzia i vantaggi della teledermatologia: “Supporta la prevenzione, incoraggia l’auto-esame cutaneo, consente un’interfaccia rapida con i dermatologi e razionalizza l’accesso alle strutture specialistiche”. “Non saprei immaginare un esempio migliore di integrazione tra territorio e specialisti”, ha concluso Scotti, auspicando un confronto costruttivo con le associazioni dei dermatologi per creare modelli condivisi. E ha ricordato che la Legge di Bilancio del 2020 ha previsto 235 milioni di euro per la diagnostica negli studi dei medici di famiglia, fondi che attendono ancora di essere pienamente utilizzati.
Il dibattito è aperto, e una cosa è certa: la prevenzione oncologica dermatologica è un terreno su cui si gioca una partita importante per il futuro della sanità territoriale. E il confronto tra competenze, ruoli e responsabilità è destinato a proseguire. Nel campo della prevenzione oncologica dermatologica, le parole contano. E a volte, possono generare equivoci che rischiano di compromettere l’efficacia delle strategie sanitarie. È il caso della cosiddetta “mappatura dei nei”, una terminologia diffusa tra i pazienti e gli impiegati amministrativi, ma che secondo i clinici non corrisponde a una prestazione reale né a una voce tariffaria riconosciuta. A chiarirlo è Giovanni Pellacani, presidente della Società Italiana di Dermatologia e Malattie Sessualmente Trasmesse (SIDeMaST), intervenuto con una nota nel dibattito attuale. “La mappatura dei nei non esiste né come tariffario né come prestazione medica reale. Si tratta di una terminologia impropria che dovrebbe essere abbandonata”, afferma Pellacani. Il concetto, secondo il presidente SIDeMaST, rischia di alimentare aspettative errate e pratiche non ottimali, soprattutto se si pensa di estenderne la competenza a figure non specialistiche. “La nostra società scientifica è disponibile a collaborare con le Istituzioni e con le varie organizzazioni professionali – prosegue – per definire un percorso chiaro ed efficace di prevenzione e diagnosi precoce del melanoma e dei tumori cutanei, garantendo la massima efficacia senza aggravio di costi o risorse non disponibili”.
La prevenzione, sottolinea Pellacani, non passa da screening di massa su soggetti asintomatici, ma da un approccio educativo e selettivo. “Fondamentale è l’educazione alla protezione dai raggi solari e l’autoesame periodico, che consente ai pazienti di riconoscere e segnalare al Medico di Medicina Generale una lesione nuova o modificata”. In questa ottica, il ruolo del medico di famiglia come si inquadra? “Sicuramente l’utilizzo del dermatoscopio da parte del Medico di Medicina Generale, eventualmente associato a teledermatologia, può migliorare il triage”. Dopodiché il dermatologo resta la figura centrale nella gestione delle lesioni cutanee sospette. È lui a decidere se procedere con l’asportazione, il monitoraggio digitale o l’impiego di tecniche avanzate come la microscopia confocale a riflettenza, ove disponibile. “Questo per evitare ritardi diagnostici”, sottolinea Pellacani. E proprio la tempestività è uno degli elementi chiave nella lotta contro il melanoma, tumore cutaneo tra i più aggressivi, ma anche tra i più curabili se intercettato in fase precoce.
Un altro punto cruciale riguarda l’identificazione dei pazienti ad alto rischio, su cui concentrare gli sforzi di prevenzione. Si tratta di soggetti con più di 50-60 nei, fototipo chiaro, storia di scottature in età infantile o adolescenziale, o condizioni di immunosoppressione. Per questi pazienti, le linee guida europee EADO – recepite anche in Italia – prevedono l’utilizzo del dermatoscopio da parte del dermatologo, strumento che consente di individuare alterazioni non visibili a occhio nudo. Tecniche come la videodermatoscopia, la microscopia confocale a riflettenza e la total body photography sono invece riservate a monitoraggi specifici e mirati.
Tra gli interventi prioritari, Pellacani indica la necessità di distinguere le visite dermatologiche oncologiche da quelle generali. “Questo permetterebbe un più efficace indirizzamento del paziente ad un servizio dotato dell’expertise e della strumentazione adeguata, ed un più efficace controllo dei tempi di attesa”. Un auspicio che si traduce anche in una richiesta concreta: “Si auspica che a questo segua un adeguato riconoscimento delle prestazioni necessarie nelle dovute indicazioni nei LEA, con l’introduzione della microscopia confocale a riflettenza e della total body photography”.





