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Diritto all’a𝐟𝐟𝐞𝐭𝐭𝐢𝐯𝐢𝐭à 𝐞 s𝐞𝐬𝐬𝐮𝐚𝐥𝐢𝐭à 𝐧𝐞𝐥𝐥𝐞 p𝐞𝐫𝐬𝐨𝐧𝐞 𝐜𝐨𝐧 d𝐢𝐬𝐚𝐛𝐢𝐥𝐢𝐭à tra...

I conti in rosso della Sanità, la relazione della Corte dei conti

Aumento dei Fondi ma non calano le difficoltà di molte Regioni.
Sotto la lente la gestione virtuosa della spesa.

Sotto la lente della magistratura contabile la spesa sanitaria delle Regioni del triennio da fine 2021 al 2024, segnato dalla pandemia da Covid-19. Tutti hanno speso di più ma non tutti hanno speso bene. Anzi è una minoranza ad aver centrato gli obiettivi di corretta gestione delle maggiori spese e fondi assegnati dalle poste di bilancio.  

Ad accendere i riflettori è la sezione delle Autonomie locali della Corte dei conti nella Relazione sulla gestione finanziaria delle Regioni e province autonome che sottolinea come “Persistono disavanzi, disuguaglianze territoriali e difficoltà aggravate da invecchiamento demografico e patologie croniche in crescita. La gestione efficiente della spesa resta quindi, osserva la Corte, una sfida cruciale per la sostenibilità del sistema”. 

I numeri

Partiamo dai numeri: Nel triennio 2021-2023, la spesa sanitaria complessiva delle Regioni italiane è passata da 139,9 a 152,9 miliardi di euro registrando un incremento del 9,3%. Un aumento trainato da un lato dalla dinamica ordinaria dei costi (personale, servizi, beni) e dall’altro dagli investimenti straordinari legati all’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Solo nel 2023, il finanziamento corrente al Servizio sanitario nazionale ha toccato i 128,87 miliardi di euro, il 96% dei quali destinati all’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). La spesa sanitaria corrente, che rappresenta la componente predominante, ha toccato i 139,5 miliardi nel 2023, pari al 91,2% del totale. Tra le Regioni con i maggiori aumenti figurano Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Campania e Puglia (la Campania resta ultima per spesa procapite ndr). Tuttavia di questa iniezione di risorse non si sono giovati tutti i territori lungo lo Stivale ponendo l’accento sulla questione centrale e strategica del corretto uso delle risorse a fronte di un cambiamento demografico sostanziale che da un lato vede l’allungamento della vita della popolazione e dall’altro assiste alla crescita di fasce di popolazioni fragili con molte patologie e più complesse e dispendiose per assicurare le cure necessarie in maniera cronica.

Tutto questo a cavallo del passaggio dal sistema di monitoraggio rappresentato dal Lea (Livelli essenziali di assistenza) al Nuovo sistema di garanzia che individuato tre macroaree (assistenza distrettuale, ospedaliera e la prevenzione) su cui misurare la capacità di spendere bene assicurando le cure minime alla popolazione.

Secondo i dati emersi da questa nuova griglia nel 2023 solo 13 Regioni hanno superato la soglia minima in tutte le macroaree di valutazione, mentre otto presentano ancora criticità soprattutto nell’area della prevenzione. Veneto e Provincia autonoma di Trento quelle che hanno raggiunto punteggi migliori mentre la Calabria continua ad essere la Regione peggiore.

In base ai risultati del monitoraggio del NSG per il 2023 (tabella che segue), vi sono n. 13 Regioni/Province autonome (Piemonte, Lombardia, Provincia Autonoma di Trento, Veneto, Friuli- Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Campania, Puglia e Sardegna) che hanno registrato un punteggio superiore alla soglia di sufficienza (60) in tutte le macroaree. Nessuna Regione o Provincia autonoma, invece, presenta punteggi inferiori alla soglia su tutte le tre macro-aree. Le Regioni che presentano un punteggio inferiore alla soglia minima in una o più macro-aree sono:

a) in due macro-aree: Valle d’Aosta (Distrettuale e Ospedaliera), Abruzzo, Calabria, Sicilia (Prevenzione e Distrettuale);

b) in una macro-area: P.A. Bolzano, Liguria e Molise (Prevenzione), Basilicata (Distrettuale). Complessivamente nel 2023, come per i precedenti anni, permangono ancora situazioni di criticità riconducibili alle Regioni/Province autonome che non ottengono la sufficienza. Tale situazione non appare molto distante da quanto rilevato nel 2021, dove le Regioni che hanno riportato un punteggio insufficiente (al di sotto del punteggio minimo, pari a 60) in almeno una delle tre macro-aree erano 7, di cui due (Valle d’Aosta e Calabria) in tutte e tre le aree, una (Sardegna) in due, e quattro solo in una (Provincia autonoma di Bolzano, Molise, Campania e Regione siciliana). Nel 2020, invece, le Regioni con un punteggio insufficiente erano 10.

Investimenti sanitari

Si registra una sostanziale crescita nel 2022, soprattutto grazie all’iniezione generosa di risorse provenienti dal Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) con un calo di oltre il 7% registrato invece nel 2023. Segno di un impianto della spesa non strutturale ma alimentato dai fondi Ue soprattutto finalizzati all’acquisto di macchinari e alle ristrutturazioni edilizie ma con poco o nulla da dedicare alle assunzioni laddove il nodo del personale resta un nervo scoperto del Governo della Salute in Italia.

 E dunque nell’arco di tre anni gli investimenti sono aumentati di 3,5 miliardi di cui 2 concentrati al Sud a cui però non ha fatto seguito un parallelo e proporzionale miglioramento delle performance di cura monitorare dall’Ngs. Segno che l’efficienza nella gestione resta un nodo irrisolto.

Veniamo ai conti in rosso delle Regioni: la spesa per il ripiano dei disavanzi pregressi si è ridotta da 2,8 a 1,4 miliardi tra 2021 e 2023, con progressi significativi, in particolare in Sicilia. Tuttavia una spia rossa è accesa sui residui passivi della Missione 13 “Tutela della salute”: tra 2021 e 2023 sono aumentati del 42,8%, passando da 30,7 a 43,8 miliardi di euro. Si tratta principalmente di spesa corrente non liquidata, ma cresce anche il peso degli investimenti. Le cause sono diverse: afflusso di risorse statali, avvio di progetti PNRR, ma anche ritardi nei trasferimenti dalle Regioni alle aziende sanitarie, che compromettono l’efficienza della catena di pagamento e realizzazione degli interventi. Anche l’Indebitamento sanitario è in calo ma non in maniera omogenea. In totale nel 2023 si registrano 11,39 miliardi di euro di debiti pari al 30% del debito complessivo delle Regioni in calo rispetto agli anni precedenti fatta eccezione della Toscana mentre  hanno mostrato una contrazione del debito sanitario soprattutto Piemonte, Marche, Basilicata, Emilia-Romagna e Friuli-Venezia Giulia.

Nel triennio 2021-2023, nonostante l’incremento del risultato di amministrazione – passato da 22,7 a circa 35,7 miliardi – il disavanzo complessivo delle Regioni è rimasto elevato, seppur in leggera flessione nell’ultimo anno (da 28,6 miliardi nel 2021 a 26,5 nel 2023). Sedici enti risultano costantemente in disavanzo, con alcune Regioni – tra cui Emilia-Romagna, Lombardia, Marche, Toscana, Trentino-Alto Adige, Umbria e Veneto – che hanno utilizzato il meccanismo del debito autorizzato e non contratto (DANC) per finanziare investimenti. Nello stesso periodo, il Fondo anticipazioni di liquidità ha oscillato intorno ai 24 miliardi, mentre il Fondo crediti di dubbia esigibilità è cresciuto in modo significativo, salendo da 5,8 a 8,2 miliardi e aumentando il proprio peso sul totale della parte accantonata, fino al 19,2% nel 2023.

Il quadro di finanzia pubblica

Vale la pena di gettare lo sguardo anche sul contesto di finanza pubblica visto che il rapporto spesa sanitaria/Pil è un fattore da valutare rispetto all’economia generale del Paese.

Negli ultimi anni, nonostante il difficile contesto economico determinato dalla pandemia e dalla guerra in Ucraina, l’Italia ha registrato una crescita media annua del 3,8% nel periodo compreso tra il 2021 e il 2024, superando quella dell’area Euro (2,8%). Anche nel 2023, con un Pil in aumento dello 0,7% (mentre la crescita nominale è stata del 2,9%, in calo rispetto al 6,7% del 2022), l’economia italiana ha mostrato una tenuta migliore rispetto a quella di altri Paesi europei. Nel 2024, tuttavia, la spinta alla crescita si è arrestata: l’andamento del Pil si è mantenuto stabile ma al di sotto delle attese, senza raggiungere l’1,0% previsto dal Piano Strutturale di Bilancio, nonostante un incremento registrato nel primo trimestre1. Il rallentamento si è accentuato nella seconda metà dell’anno, in particolare sul fronte degli investimenti, colpendo soprattutto il settore manifatturiero. Si è osservata una contrazione della domanda di macchinari, attrezzature, beni immateriali e, in modo più marcato, nella produzione di mezzi di trasporto, penalizzata dalla crisi del settore automotive.  Lo sviluppo economico è stato trainato principalmente dai consumi nazionali (+0,4%) e in misura minore dagli investimenti (+0,1%), mentre le scorte hanno avuto un impatto negativo (-0,2%). Dal lato dell’offerta, i settori più dinamici sono stati i servizi (+0,6%, con il 74% del Pil in volume), le costruzioni (+1,2%) e l’agricoltura (+2%). L’industria è cresciuta solo dello 0,2%, con un peggioramento della manifattura2.

Nel 2024 il tasso di disoccupazione è sceso dal 7,7% al 6,5%, mentre l’occupazione nella fascia 15-64 anni è salita al 62,2% (+2,2%). Tuttavia, rimane elevato il tasso di lavoratori a rischio povertà (10,2%, in aumento rispetto al 2023 e superiore alla media Ue). Nonostante una crescita economica inferiore alle attese, l’aumento degli occupati, dei salari nominali (superiori all’inflazione annua, ma ancora insufficienti a compensare la perdita di potere d’acquisto 2021-2023) e il rinnovo dei contratti hanno portato a un aumento della pressione fiscale sul Pil (dal 41,4% al 42,6%). Le entrate tributarie sono cresciute di 6,1 miliardi, contribuendo alla riduzione dell’indebitamento netto.

Nell’esercizio considerato il Pil è cresciuto dello 0,3% rispetto al trimestre precedente, con una crescita già acquisita dello 0,4% per l’intero anno. La produzione industriale è aumentata per la prima volta dal 2022 (+0,4%), segnalando una ripresa del settore, le costruzioni registrano una forte espansione e i servizi continuano a migliorare, indicando una ripresa moderata ma diffusa. Le prospettive economiche restano tuttavia incerte a causa di tensioni geopolitiche e politiche commerciali globali (come i dazi USA e i conflitti in corso).
La valutazione completa del quadro macroeconomico dipenderà dagli effetti della manovra di bilancio 2025, ancora espansiva, che ha posticipato al 2026 l’obiettivo di un deficit sotto il 3% del Pil.

Significativo poi il riferimento alla sentenza della Corte costituzionale n. 192 del 3 dicembre 2024 che ha inciso sulla legge per l’autonomia differenziata ribadendo che il principio costituzionale della devoluzione delle forme di governo in senso autonomistico, espressione di una società pluralistica, non comporta il venir meno di quello dell’unità ed indivisibilità della Repubblica e dell’unitarietà del popolo italiano, nel cui nome è esercitata la sovranità. Ma è stato confermato il principio secondo cui lo Stato mantiene competenze esclusive in alcune materie, mentre in altre vige una ripartizione con le Regioni, nel rispetto del principio di sussidiarietà. La Corte costituzionale ha anche censurato le norme che attribuivano alle Regioni interi gruppi di materie, anziché funzioni specifiche. Ha inoltre ribadito l’importanza di un’efficiente gestione delle risorse, riaffermando l’esigenza di abbandonare il ricorso alla spesa storica a favore di criteri più oggettivi, come il costo standard. Infine, ha chiarito che l’autonomia differenziata non esonera le Regioni dagli obblighi di equilibrio di bilancio, rispetto dei vincoli europei e garanzia di pari diritti tra tutte le Regioni.

Spesa

Nel triennio 2021 2023, la spesa regionale è stata dominata dalla componente sanitaria, che supera il 60% del totale in molte Regioni e, in tale periodo, ha registrato un aumento complessivo di circa 13 mld (circa 9,3%). Al netto di tale componente, la spesa ha mostrato un incremento con un’incidenza che si attesta a circa il 38% nel 2023. Nelle Regioni a statuto ordinario, dopo l’impennata del 2020 dovuta alla pandemia, l’aumento della spesa si è attenuato nel 2021, è ripreso nel 2022 e ha raggiunto un nuovo picco nel 2023. Le Regioni a statuto speciale mostrano un trend di crescita costante sia negli impegni che nei pagamenti, superando i livelli dell’anno precedente.
I principali indicatori di finanza pubblica mostrano un netto miglioramento rispetto al 2023. Il rapporto indebitamento netto/Pil si è attestato al 3,4%3, meglio delle previsioni (-3,8% del PSBMT e -4,3% del DEF) e in forte calo rispetto al -7,2% del 2023 e al -8,1% del 2022.
Nel Documento di Finanza Pubblica (DFP) 2025, si evidenzia un quadro macroeconomico, influenzato dal rischio di aumento dei dazi, soprattutto nei rapporti commerciali tra Italia e Stati Uniti4, lo scenario prevede una crescita del Pil italiano dello 0,6% nel 2025, in lieve aumento nei due anni successivi (0,8%). Il principale motore della crescita è rappresentato dalla domanda interna, soprattutto i consumi privati, mentre la domanda estera netta avrà un effetto negativo a causa della debolezza del commercio internazionale.

Nel 2024, i conti pubblici italiani sono migliorati più del previsto, nonostante un quadro economico più incerto, influenzato da tensioni commerciali internazionali.


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