Tutti conoscono o hanno sentito parlare almeno una volta di disturbi della tiroide, sono diffusissimi. Pochi al contrario sanno dire cosa siano le paratiroidi, piccoli bottoni in seno alla ghiandola tiroide, che svolgono un ruolo molto importante, direi fondamentale, nel regolare i livelli di calcio nel nostro organismo. Le paratiroidi sono quattro grumi di cellule endocrine, minuscoli come chicchi di riso o lenticchie, in seno a un organo molto più grande che campeggia nella regione del collo. La funzione principale di queste ghiandole è cruciale, poiché producono paratormone (PTH) l’ormone che regola i livelli di calcio nel sangue. Quando la funzione delle paratiroidi viene meno si verifica una condizione nota come ipoparatiroidismo.
Buona parte dei deficit nei livelli di paratormone, con conseguente scompenso nel metabolismo osseo, si osserva come conseguenza di interventi chirurgici alla tiroide. Altre cause possono includere disordini autoimmuni, malattie genetiche e casi idiopatici, cioè di origine sconosciuta.
Quando il PTH è insufficiente si verifica una riduzione dei livelli di calcio nel sangue e un aumento dei livelli di fosfato. Un calo nelle concentrazioni di calcio circolante può portare a sintomi acuti come crampi, spasmi muscolari. Inoltre, i pazienti possono sperimentare disturbi cognitivi ed emotivi, come ansia e depressione. La professoressa Maria Luisa Brandi, presidente FIRMO (Fondazione Italiana per la Ricerca sulle Malattie delle Ossa), sottolinea che “spesso, la sintomatologia del paziente viene confusa con una malattia neuropsichiatrica”, rendendo la diagnosi e il trattamento ancora più complessi. A lungo andare questa malattia può dare insufficienza renale, aritmie cardiache e complicanze oculari, come la cataratta. L’osso diventa fragile, aumentando il rischio di fratture.
La gestione dell’ipoparatiroidismo è impegnativa. Le terapie attualmente disponibili si concentrano sul controllo dei sintomi attraverso l’assunzione di calcio e vitamina D attiva. Tuttavia, tutti questi supplementi non riescono a ripristinare completamente la funzione fisiologica del PTH, con conseguenze a breve e a lungo termine, un fenomeno che si definisce burden. Quanto parliamo di burden ci si riferisce a un aggravio, al carico di adempimenti che la malattia comporta sui pazienti e sul sistema sanitario. I pazienti in trattamento devono affrontare una gestione complessa, con il rischio costante di crisi ipocalcemiche e danni renali. Valentina Camozzi, specialista in endocrinologia, Azienda Ospedaliera Università di Padova, evidenzia che l’attuale approccio terapeutico “non è mai stato ottimale”, e spesso i pazienti devono fare affidamento su terapie “off label” o su trattamenti non ufficialmente approvati.
La ricerca intanto va avanti e recentemente è stata introdotta una terapia innovativa, la palopegteriparatide, che grazie al rilascio prolungato, può mantenere stabili i livelli di calcio nel sangue per 24 ore, riducendo la necessità di assunzione supplementare e migliorando la qualità della vita dei pazienti.
Andrea Palermo, medico endocrinologo presso la Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico di Roma, sottolinea l’importanza di una gestione a lungo termine per prevenire complicanze e migliorare la qualità della vita dei pazienti. “Queste complicanze possono impattare significativamente la vita del paziente”, afferma.
In definitiva, nonostante l’ipoparatiroidismo sia una malattia rara con un’incidenza compresa tra 0,8 e 2,3 nuovi casi ogni 100.000 persone all’anno, il suo impatto sulla vita dei pazienti e sul sistema sanitario è significativo. L’attenzione degli esperti, come emerso recentemente nel corso di un media tutorial promosso da Ascendis Pharma, si sta orientando verso un approccio più efficace e lineare nella gestione delle malattie rare legate a ipoparatiroidismo.