Per ora il dispositivo è stato testato con successo su un solo paziente. La neuroprotesi che stimola elettricamente il midollo spinale consente a un uomo di 62 anni con Parkinson avanzato di tornare a camminare normalmente. “Ora non ho più paura di fare le scale”. Lo studio su Nature Medicine
Le neuroprotesi, dispositivi che sostituiscono o migliorano funzioni specifiche del sistema nervoso, potrebbero rappresentare una svolta nel trattamento di alcune malattie neurodegenerative. È quanto lascia intravedere uno studio appena pubblicato su Nature Medicine che racconta come è cambiata la vita di Marc, il primo paziente con Parkinson a cui è stata impiantata una neuroprotesi che agisce sul midollo spinale attraverso una stimolazione elettrica.
Quando è stato sottoposto all’intervento, due anni fa, Marc aveva 62 anni e conviveva con il Parkinson già da circa trent’anni (una forma a esordio precoce).
Le terapie a base di dopamina e la stimolazione cerebrale profonda avevano migliorato alcuni sintomi della malattia, tremori e rigidità muscolare, ma non avevano inciso minimamente sul disturbo della deambulazione. Giunto ad uno stadio avanzato del Parkinson, Marc, come il 90 per cento dei pazienti nelle stesse condizioni, non riusciva quasi più a camminare, cadeva frequentemente e faceva un gran fatica a compiere movimenti semplici come entrare in un ascensore o mettere un piede su un gradino. «Ora non ho più paura di fare le scale», dice Marc.
L’impianto della neuroprotesi è stato effettuato due anni fa al Lausanne University Hospital (CHUV) e coordinato dagli scienziati del NeuroRestore, il centro svizzero specializzato nella neurochirurgia riparativa che si avvale della collaborazione di ingegneri, medici e scienziati della Ecole polytechnique fédéral de Lausanne (EPFL), del Lausanne University Hospital (CHUV) e della Università di Losanna sotto la guida di Grégoire Courtine e Jocelyne Bloch. Per mettere a punto questa procedura sperimentale gli scienziati del NeroRestore hanno consultato Erwan Bezard, neuroscienziato dell’Inserm (Institut national de la santé et de la recherche médicale) che ha dedicato la sua carriera alla comprensione delle malattie neurodegenerative.