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Perché l’immunità evocata dai vaccini è variabile e cala nel tempo? La risposta arriva dai test sull’influenza aviaria

Un semplice test del sangue, ideato da ricercatori dell’Università di Stanford, ha chiarito una delle questioni maggiormente dibattute della medicina moderna: perché alcuni vaccini offrono una protezione duratura mentre altri, come il vaccino per l’influenza, sembrano svanire nel giro di mesi, tanto da richiedere ulteriori richiami?

Dunque, perché la risposta immunitaria alle vaccinazioni è variabile? La risposta, contenuta in uno studio pubblicato sulla rivista Nature Immunology, è stata individuata in un tipo di cellule del midollo osseo denominate megacariociti. Questi elementi noti per il loro ruolo nella produzione di piastrine, si sono rivelati ugualmente fondamentali anche per la produzione di anticorpi.

Il test sviluppato dai ricercatori puntava a personalizzare i piani vaccinali in base alla risposta immunitaria individuale. Questo potrebbe significare un futuro in cui gli individui vengono vaccinati in modo mirato, sapendo con certezza chi avrà bisogno di richiami e quando.

Lo studio ha coinvolto un gruppo di volontari che hanno ricevuto un vaccino sperimentale contro l’influenza aviaria. I ricercatori hanno monitorato i campioni di sangue raccolti nei 100 giorni successivi alla vaccinazione, identificando tramite un programma basato su intelligenza artificiale una firma molecolare che si è rivelata predittiva della forza della risposta immunitaria nei mesi successivi. Questo approccio ha permesso di mettere in relazione l’attivazione dei megacariociti con la durata e all’efficacia della risposta immunitaria.

La conferma di questo legame è giunta da esperimenti condotti su modelli animali, in cui i ricercatori hanno somministrato il vaccino insieme a trombopoietina, una sostanza che stimola la produzione di precursori delle piastrine. I risultati sono stati sorprendenti: i livelli di anticorpi due mesi dopo la vaccinazione sono aumentati di circa sei volte. Questo comportamento suggerisce che manipolare i megacariociti potrebbe rivelarsi una strategia chiave per migliorare la durata della protezione vaccinale.

Le implicazioni di questa ricerca, secondo gli autori, non solo potrebbero portare a produrre vaccini più efficaci, ma potrebbero anche accelerare e migliorare l’attendibilità dei trial clinici. Attualmente, i partecipanti ai test devono essere seguiti per anni per determinare la durata e la qualità della risposta immunitaria. Con un test del sangue che contribuisce a calcolare l’intensità della risposta immunitaria, le case farmaceutiche potrebbero dare una base scientifica ancora più solida al razionale che determina il grado di immunizzazione dopo somministrazione dei vaccini.

Inoltre, la possibilità di personalizzare i piani vaccinali rappresenta un cambiamento fondamentale nel modo in cui pensiamo alla salute pubblica. Immaginate un futuro in cui ogni individuo riceve un piano vaccinale su misura, basato su un’analisi approfondita della propria risposta immunitaria. Potrebbero essere sviluppati test diagnostici che identificano chi ha bisogno di un richiamo e quando, ottimizzando così la protezione della popolazione e riducendo i costi associati alle campagne vaccinali.

I ricercatori hanno già iniziato a esplorare ulteriormente il fenomeno dei megacariociti e la loro attivazione in risposta a diversi vaccini. Hanno scoperto che la “firma molecolare” identificata non è esclusiva del vaccino contro l’influenza aviaria, ma caratterizza anche altri vaccini, tra cui quelli per il Covid-19 e la malaria. Questa scoperta invita a una riflessione più profonda: quali sono i meccanismi biologici che determinano l’attivazione differenziale dei megacariociti in risposta a diversi vaccini? Quali altre variabili biologiche potrebbero influenzare la durata della protezione?

In un mondo in cui la salute globale è costantemente minacciata da pandemie e malattie tropicali, la possibilità di un test del sangue che predice la durata dell’effetto di un vaccino potrebbe migliorare la copertura e l’immunizzazione, come pure anche garantire una protezione più duratura per tutti.

Identificata per la prima volta in Italia più di un secolo fa, nel 2024 l’influenza aviaria ha raggiunto anche l’Antartide. Ma il rischio che l’influenza aviaria provocata dal virus H5N1 si diffonda all’uomo resta basso, nonostante i diversi casi registrati nell’ultimo anno: lo affermano gli esperti degli statunitensi National Institutes of Health, che hanno pubblicato un articolo sul New England Journal of Medicine. Secondo Jeanne Marrazzo, direttrice dell’Istituto Nazionale per le Allergie e le Malattie Infettive (Niaid), e Michael Ison, capo del dipartimento delle malattie respiratorie dello stesso istituto, i trattamenti e i vaccini disponibili, così come quelli in fase di sviluppo, sono sufficienti a prevenire le forme gravi della malattia, anche se è importante continuare un attento monitoraggio del virus e delle sue mutazioni.

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