Dopo anni di contrazione, il Servizio Sanitario Nazionale ha registrato un incremento significativo del personale dipendente, con circa 20 mila unità in più nel 2023 rispetto all’anno precedente. Il totale è salito da 681.852 a 701.170 professionisti, segnando una crescita del 2,8%. Un segnale positivo, che però non basta a dissipare le preoccupazioni per il futuro. Il nuovo rapporto pubblicato dall’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas), evidenzia infatti squilibri persistenti tra le diverse figure professionali e l’ombra di una crisi generazionale che potrebbe compromettere la tenuta del sistema.
Il documento analizza l’evoluzione del personale sanitario negli ultimi dieci anni, a partire dal calo registrato tra il 2014 e il 2019, quando il sistema perse circa 30 mila dipendenti. La pandemia ha invertito la tendenza, portando nel 2023 a un saldo positivo di oltre 51 mila operatori rispetto al 2019. Tuttavia, questa ripresa non ha modificato in modo sostanziale la composizione delle professioni sanitarie: l’Italia continua a presentare un numero di medici superiore alla media europea (5,35 per mille abitanti contro 4,07), ma resta indietro sul fronte degli infermieri (6,86 per mille contro 8,26).
Sul versante dei medici neolaureati, il rapporto sottolinea come l’incremento delle borse di specializzazione abbia contribuito a evitare una carenza potenzialmente disastrosa. Nel 2024/2025 le borse disponibili sono salite a 15.256, triplicate rispetto alle 5mila del 2014/2015. Una correzione necessaria, considerando che tra il 2026 e il 2038 si stima l’uscita dal sistema di circa 39 mila medici per raggiunti limiti di età. Nonostante ciò, alcune specializzazioni restano critiche: Emergenza Urgenza, Anestesia e Rianimazione, Radioterapia, Microbiologia e Virologia continuano a registrare un numero elevato di borse non assegnate, segno di una persistente difficoltà nel reclutamento.
Al contrario, per altre discipline si teme un surplus di specialisti. Il rapporto avverte che, fatte salve le specialità carenti, il sistema potrebbe trovarsi con un numero di laureati superiore al fabbisogno, come già accaduto prima dell’introduzione del numero chiuso. Un equilibrio delicato, che richiede pianificazione e monitoraggio costante.
Particolarmente preoccupante è la situazione dei medici di medicina generale. In dieci anni, il loro numero è sceso di oltre 7 mila unità, passando da più di 45 mila nel 2013 a 38 mila nel 2023. Con 68,1 medici di famiglia ogni 100 mila abitanti, l’Italia è sotto la media di Paesi come Germania (72,8) e Francia (96,6). Inoltre, circa un terzo degli attuali professionisti – circa 20 mila – andrà in pensione entro i prossimi dodici anni, aggravando ulteriormente il problema, se il modello di erogazione delle cure primarie resta quello adottato finora.
Ancora più critica è la condizione degli infermieri. Entro il 2035, circa 78 mila raggiungeranno l’età pensionabile, e molti di loro rischiano di non essere sostituiti. Nonostante l’aumento dei posti a bando nelle università, si osserva una progressiva riduzione delle domande. Se questo trend dovesse proseguire, l’attuale offerta formativa non sarebbe sufficiente a compensare l’uscita dei professionisti, con il rischio di un vuoto strutturale.
«Da qualche anno, nonostante l’incremento del numero di posti a bando, si nota una progressiva riduzione delle domande», si legge nel rapporto. «Se il trend sarà confermato, non è possibile assicurare che l’attuale offerta formativa sia sufficiente a neutralizzare l’effetto della gobba pensionistica».
In sintesi, il 2023 ha segnato una ripresa nel numero di operatori sanitari, ma il sistema resta esposto a fragilità importanti. Le carenze in alcune specializzazioni, il calo dei medici di famiglia e la crisi vocazionale tra gli infermieri impongono una riflessione strategica. Il ricambio generazionale non è garantito, e senza interventi mirati, il rischio è quello di trovarsi con un sistema squilibrato, incapace di rispondere alle esigenze di una popolazione sempre più anziana e bisognosa di cure.





