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Ridimensionare l’uso dei beta-bloccanti: nuove prospettive nel trattamento dell’infarto del miocardio

Analisi dello studio REDUCE-AMI e le implicazioni per la pratica clinica cardiologica

L’efficacia dei beta-bloccanti nel trattamento dei pazienti colpiti da infarto del miocardio è oggetto di una recente analisi critica. Lo studio REDUCE-AMI, pubblicato sul New England Journal of Medicine e presentato al congresso dell’American College of Cardiology ad Atlanta, ha sollevato interrogativi sull’efficacia di questa terapia nel ridurre il rischio di morte o di infarto miocardico nei pazienti affetti da questa patologia.

Il Contesto Clinico dei Beta-bloccanti

Secondo Ciro Indolfi, ex presidente della Società Italiana di Cardiologia (SIC), l’uso consolidato dei beta-bloccanti si basa su dati provenienti da studi clinici precedenti all’avvento delle moderne tecniche di rivascolarizzazione e all’uso diffuso di statine e terapie antiaggreganti. Tuttavia, con l’introduzione di queste nuove opzioni terapeutiche, il ruolo dei beta-bloccanti nei pazienti con infarto miocardico senza insufficienza cardiaca è stato messo in discussione.

Lo Studio REDUCE-AMI

Lo studio REDUCE-AMI, il primo studio moderno a indagare i benefici dei beta-bloccanti, ha coinvolto 5.020 pazienti con infarto miocardico acuto trattati con angioplastica coronarica e con una normale funzionalità cardiaca. I risultati, dopo circa 3 anni e mezzo, non hanno evidenziato differenze significative nell’incidenza di decessi, o secondi infarti tra i pazienti trattati con e senza beta-bloccanti. Non sono state riscontrate differenze significative neanche nel numero di ospedalizzazioni per altri eventi cardiovascolari.

L’importanza di nuovi studi

Pasquale Perrone Filardi, presidente della SIC, sottolinea che, nonostante l’assenza di segnali negativi sulla sicurezza del trattamento, i beta-bloccanti potrebbero non essere vantaggiosi per i pazienti con infarto miocardico e normale contrattilità cardiaca. Tuttavia, ritiene che sia prematuro escludere definitivamente questa terapia e sottolinea l’importanza di ulteriori studi per confermare questi risultati.

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