In un momento di crescente apprensione per le condizioni di lavoro e la qualità dei servizi offerti ai cittadini, i sindacati della sanità privata hanno deciso di scendere in piazza. In oltre 20 città italiane, decine di migliaia di addetti hanno partecipato a uno sciopero di 24 ore indetto dalle principali sigle del settore. Cortei e presidii avevano un obiettivo comune: rivendicare subito il rinnovo del contratto nazionale e invocare l’adozione di regole chiare che garantiscano un sistema più equo e trasparente. Lo stallo riguarda, secondo le stime, 200mila operatori: il contratto della sanità privata, che interessa ospedali accreditati, è fermo da più di sei anni, mentre quello delle Rsa (Residenze sanitarie assistenziali) è fermo da 13 anni. Questa situazione ha di fatto alleggerito progressivamente la busta paga, a fronte di condizioni di lavoro spesso insostenibili, che generano una crescente insoddisfazione. I sindacati evidenziano come, nonostante i contingenti precettati per garantire i servizi essenziali, l’adesione allo sciopero sia stata massiccia in tutte le regioni italiane. Da Palermo a Milano, da Napoli a Genova, da Trento a Cagliari, da Torino a Bari, la protesta ha attraversato l’intera penisola, sottolineando il forte disagio di un settore strategico per il Sistema Sanitario Nazionale.
Secondo il Rapporto Oasi 2024 del Cergas Bocconi, la presenza della sanità privata accreditata in Italia è significativa: circa il 32% dei posti letto del Servizio Sanitario Nazionale è gestito da strutture private, con punte che in alcune regioni superano il 50%. In particolare, nel Lazio si arriva al 53%, in Lombardia al 44% e in Sicilia al 34%. La presenza nel settore socio-sanitario per anziani è ancora più marcata, con l’85% delle strutture residenziali gestite dal privato. Questi numeri dimostrano come la sanità privata accreditata rappresenti ormai il secondo pilastro del sistema sanitario nazionale, affiancandosi e talvolta competendo con il pubblico. La crescente integrazione tra pubblico e privato, se da un lato permette di aumentare le capacità di risposta, dall’altro solleva questioni cruciali sulla qualità dei servizi, sui costi e sui diritti dei lavoratori.
Oltre al rinnovo dei contratti senza indugi si chiede che le strutture accreditate nel sistema sanitario nazionale siano tenute a rispettare i contratti collettivi firmati, e che gli accordi vengano rinnovati regolarmente. Aiop (Associazione Italiana Ospedalità Privata) e Aris (Associazione Religiosa Istituti Socio-Sanitari) sono dichiaratamente nel mirino. In una nota unitaria Barbara Francavilla, Roberto Chierchia e Ciro Chieti (Fp Cgil, Cisl Fp e Uil Fpl) sottolineano la necessità di fissare norme vincolanti per l’accreditamento. “Chi riceve fondi pubblici deve garantire salari dignitosi, il rispetto dei diritti e dotazioni organiche adeguate, esattamente come avviene nella sanità pubblica”, si legge nel documento. Inoltre, si chiede a tutte le Regioni di fare la loro parte, inserendo criteri stringenti per la concessione degli accreditamenti, mentre alla Conferenza delle Regioni si raccomanda di intervenire per imporre questi vincoli. L’obiettivo è fermare quella che viene definita “una corsa al ribasso” dei costi, spesso esercitata dalle aziende a scapito delle lavoratrici e dei lavoratori.
Resta da vedere come le parti si muoveranno nelle prossime settimane, mentre cresce la pressione affinché si trovi un’intesa che metta al centro il rispetto dei diritti e la sostenibilità del settore. Al termine della giornata di protesta (a Roma il presidio principale si è radunato davanti alla sede del Ministero della Salute) i promotori hanno ribadito: “Continueremo a promuovere azioni di pressione, coinvolgendo gli Ispettorati territoriali per verificare il rispetto dei contratti collettivi e dei carichi di lavoro nelle aziende del settore”. L’obiettivo è mantenere alta l’attenzione su una problematica che si trascina da troppo tempo.