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Sclerosi multipla, nel microbiota intestinale tracce di fattori scatenanti

La sclerosi multipla, una delle patologie neurologiche invalidanti dalla genesi ancora in buona parte da decifrare, potrebbe avere un nuovo possibile indiziato che si cela tra i batteri che popolano l’intestino. A svelarlo è stato uno studio condotto dal Max Planck Institute for Biological Intelligence di Martinsried, in Germania, che solleva interrogativi intriganti nel campo della ricerca sulle cause una patologia correlata a meccanismi autoimmuni.

Asse intestino cervello

Negli ultimi anni, la scienza ha progressivamente rivalutato le funzioni del microbiota intestinale – quell’insieme di miliardi di microrganismi che popolano le mucose dell’apparato digerente. Ora, questa connessione si fa ancora più interessante, poiché lo studio pubblicato su PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences) suggerisce che alcuni batteri dell’intestino tenue potrebbero figurare tra gli agenti provocatori della sclerosi multipla (SM).

Il team di ricerca, guidato da Hartmut Wekerle e Sergio Baranzini, ha condotto studi su popolazioni numericamente significative di pazienti affetti da SM e su soggetti sani di controllo. I risultati hanno evidenziato che la composizione del microbiota intestinale differisce significativamente tra i due gruppi. Più specificamente, sono state identificate alterazioni nella presenza di due componenti della famiglia dei microrganismi ‘Lachnospiraceae’, presenti nell’intestino tenue. Ma questi microorganismi, così numerosi, sono la causa scatenante o la conseguenza di una affezione?

Per approfondire il legame tra microbiota e neurologia, gli scienziati hanno eseguito un esperimento di trapianto del microbiota: il materiale fecale di pazienti con sclerosi multipla e di soggetti sani è stato trasferito nell’intestino di modelli animali predisposti alla malattia. I risultati sono stati sorprendenti. Quelli che hanno ricevuto il microbiota dei pazienti con SM sono più frequentemente soggetti a sviluppare la malattia rispetto a quelli che hanno ricevuto il microbiota dei soggetti sani.

Un confronto tra gemelli

Particolarmente interessante è stato il confronto tra coppie di gemelli identici, uno dei modelli più affidabili in genetica e medicina. In queste coppie, in cui solo uno dei due fratelli soffriva di sclerosi multipla, gli scienziati hanno analizzato la composizione del microbiota intestinale. La differenza emersa è stata chiara: il microbiota dei soggetti malati presentava un aumento di due batteri specifici, Eisenbergiella tayi e Lachnoclostridium, rispetto ai loro gemelli sani.

L’indagine si è infine ampliata, analizzando il materiale fecale di 81 coppie di gemelli identici con un solo fratello affetto da SM. Anche in questa vasta analisi, si è riscontrato un incremento di E. tayi nei soggetti malati, rafforzando l’ipotesi che questa classe di microrganismi possa essere coinvolta nel processo di insorgenza della malattia.

Implicazioni terapeutiche e future speranze

Il messaggio che emerge da questa ricerca è interessante: se si confermasse che una determinata classe di batteri è effettivamente un agente scatenante della sclerosi multipla, allora si aprirebbe la possibilità di intervenire in modo mirato e non invasivo sul microbioma. Modificare selettivamente la composizione batterica potrebbe rappresentare una soluzione da tentare, che sia complementare o alternativa alle attuali terapie immunomodulanti chi può dirlo?

Gli autori sottolineano che siamo ancora in una fase preliminare: la scoperta di un’associazione tra microbiota e SM non implica necessariamente causalità. È necessario approfondire le modalità con cui questi batteri potrebbero influenzare il sistema immunitario e il sistema nervoso centrale.

Una malattia complessa

La sclerosi multipla, che colpisce circa 130 mila italiani e più di 2 milioni di persone nel mondo, è uno dei banchi di prova della neurologia moderna. Quel meccanismo autolesionista, in cui il sistema immunitario attacca la mielina del sistema nervoso centrale, è stato indagato a fondo, manca tuttavia la certezza di una causa univoca. Ora, grazie a studi come quello del Max Planck Institute, si torna a concentrare l’attenzione sull’integrità della barriera gastrointestinale: il microbiota potrebbe essere uno dei tasselli chiave di questa complicata equazione. La scoperta che alcuni batteri dell’intestino possano favorire l’insorgenza della malattia è data per assodata, in questo modo si apre la strada a nuovi approcci terapeutici, basati sulla modulazione del microbioma. Se questa ipotesi sarà confermata da ulteriori studi clinici, potrebbe migliorare ulteriormente la gestione di una malattia che, finora, ha rappresentato un grande enigma per le neuroscienze.

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