«In ritardo l’Atto di indirizzo del nuovo Accordo Collettivo Nazionale». Per il segretario Fimmg ancora troppi conti in sospeso: «gli unici che pagano dazio, a oggi, sono i medici»
In un sistema sempre più pressato da carenze di personale e bisogni locali complessi, la firma degli Accordi Integrativi Regionali (AIR) da parte di Molise e Valle d’Aosta diventa una cartina di tornasole della possibilità di attuare l’Accordo Collettivo Nazionale (ACN) 2024 su scala territoriale. Abbiamo citato il caso di due regioni molto diverse, per quanto entrambe alle prese con problemi logistici e con una rete di prossimità spesso difficile da gestire. Ed è proprio partendo da queste realtà che arriva la conferma: declinare localmente un accordo nazionale si può. Serve la volontà e una visione lungimirante.
«La firma degli Accordi Integrativi Regionali in Molise e Valle d’Aosta dimostra che l’Accordo Collettivo Nazionale 2024 è perfettamente declinabile su base regionale, basta volerlo», commenta Silvestro Scotti, segretario nazionale FIMMG. Un messaggio chiaro, indirizzato ai decisori. Se due territori complessi – uno commissariato, l’altro montano e disperso – sono riusciti a formalizzare l’accordo, la domanda su cosa impedisca la firma altrove è inevitabile.
In Molise, dei 136 Comuni, ben 132 sono molto piccoli, in larga parte montani. Il 60% della popolazione vive in queste zone. In un contesto del genere, il nuovo ACN consente di costruire un modello flessibile, che sposa la rete territoriale con i principi del PNRR, superando l’isolamento del medico singolo. Le Aggregazioni Funzionali Territoriali (AFT), previste dagli accordi, collegano le Case di Comunità agli ambulatori nei paesi, ridisegnando anche il servizio di Continuità Assistenziale, ristrutturato in chiave operativa.
Ma la firma degli accordi integrativi regionali (per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale, in attuazione dell’Accordo Collettivo del 4 aprile 2024 e dell’articolo 8 del D.Lgs. 502/1992) non risolve il nodo nazionale. La mancanza dell’Atto di indirizzo che dovrebbe avviare le trattative per il prossimo ACN, genera un cortocircuito. «Lasciare la questione dei rinnovi contrattuali nazionali in sospeso equivale a imporre un dazio del 25% ai medici di famiglia», denuncia Scotti. Non è una provocazione, ma una valutazione basata su numeri concreti.
Il blocco dell’Atto di indirizzo rallenta l’ingresso dei medici nelle Case di Comunità e ne frena l’evoluzione verso un ruolo unico, previsto dagli scenari di riforma. E, soprattutto, impedisce l’adeguamento retributivo: tra il triennio 2022–2024 e il prossimo 2025–2028, l’inflazione cumulata ha toccato il +13,4%. Una crescita che, insieme ad altre dinamiche economiche, genera una perdita di potere d’acquisto già paragonabile, secondo Scotti, ai dazi che si osservano a livello internazionale.
«I medici italiani stanno pagando di fatto il dazio a causa di decisioni che spettano esclusivamente alle Regioni», aggiunge il segretario nazionale FIMMG, sottolineando la singolarità di questa situazione di stallo. Fondi per i rinnovi contrattuali, precisa, sono già presenti nei bilanci regionali, ma non attivati.
Il messaggio finale è un appello diretto: «Le Regioni devono rendersi conto che è inutile inseguire soluzioni alternative. Basta rinnovare i contratti per tempo, semplificare la burocrazia che incombe sulla medicina generale, e far evolvere il medico di famiglia come una specialità riconoscibile per il suo valore».
Se i giovani devono scegliere di diventare medici di famiglia, serve un modello che parli il loro linguaggio: chiarezza contrattuale, coerenza tra teoria e pratica, e un ruolo istituzionale valorizzato. Le firme in Molise e Valle d’Aosta dimostrano che è possibile. Ma senza un Atto nazionale che riconosca questa trasformazione, il rischio è che le eccezioni virtuose restino tali, e che la sanità territoriale vada avanti tra alti e bassi, con tante regioni che ancora mancano all’appello.





