La morte di due neonati prematuri all’ospedale di Bolzano riporta l’attenzione su un patogeno sempre in agguato nei reparti ad alta intensità assistenziale
La morte di due neonati prematuri all’ospedale di Bolzano, causata da un’infezione da Serratia marcescens, ha riacceso l’attenzione su un batterio noto da oltre duecento anni, spesso sottovalutato, ma oggi classificato tra le prime dieci cause di infezioni ospedaliere. Il caso, segnalato dalle autorità sanitarie locali, si inserisce in un quadro epidemiologico già noto alla comunità scientifica, che da decenni documenta la presenza di Serratia nelle unità di terapia intensiva neonatale.
Il batterio è in grado di provocare polmoniti, infezioni del tratto urinario, sepsi e meningiti. Secondo il Gruppo di studio della Società Italiana di Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica (SItI), il patogeno è sempre in agguato negli ambienti ospedalieri ad alta intensità assistenziale, dove le condizioni cliniche dei bimbi prematuri e le pratiche invasive in incubatrice aumentano il rischio di colonizzazione e infezione anche quando tutte le procedure vengono rispettate scrupolosamente e nulla si deve imputare all’operato dei sanitari, medici e infermieri. La prima descrizione di casi letali nei neonati risale al 1961; da allora, la letteratura scientifica ha riportato numerosi episodi con prognosi infausta.
I neonati prematuri, come le vittime del caso di Bolzano, sono particolarmente vulnerabili. Tra i fattori di rischio principali figurano il basso peso alla nascita, la degenza prolungata, l’impiego di antibiotici e l’esposizione a procedure invasive come la ventilazione meccanica e la nutrizione parenterale tramite cateteri. Oltre alle infezioni sistemiche, Serratia marcescens può causare infezioni oculari, frequenti nei neonati ricoverati.
La gestione dell’infezione è complessa. Il batterio può persistere anche in forma asintomatica e nonostante l’uso di antibiotici, rendendo difficile l’eradicazione. “È fondamentale identificare precocemente i casi e attivare misure di contenimento”, sottolineano gli esperti, “in particolare l’igiene delle mani, l’uso dei guanti e la sanificazione ambientale”.
Uno studio condotto dall’Università di Genova evidenzia la capacità del batterio di diffondersi rapidamente nell’ambiente nosocomiale. “È responsabile di epidemie in terapia intensiva neonatale causando sepsi potenzialmente fatali, meningite, polmonite nei neonati molto prematuri o con basso peso alla nascita, con tassi di mortalità elevati, fino al 45%”, si legge nel documento. I neonati colonizzati o infetti rappresentano il principale serbatoio del batterio, soprattutto a livello dell’apparato respiratorio e del tratto gastrointestinale. La trasmissione avviene prevalentemente attraverso le mani del personale sanitario.
Il caso di Bolzano dunque non è isolato. Nell’agosto 2018, un bambino era deceduto agli Spedali Civili di Brescia per un’infezione simile. In quell’occasione, altri piccoli pazienti infettati da Serratia marcescens avevano risposto positivamente agli antibiotici, ma l’episodio aveva già evidenziato la necessità di rafforzare le misure di sorveglianza e contenimento.
La presenza di Serratia nelle terapie intensive neonatali rappresenta una sfida concreta per la sanità pubblica. La sua capacità di resistere agli antibiotici e di diffondersi in ambienti ad alta complessità impone protocolli rigorosi e una sorveglianza costante. I dati scientifici e gli episodi clinici confermano che il controllo delle infezioni ospedaliere resta una priorità, soprattutto nei reparti dove la vulnerabilità dei pazienti è massima.





