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Medici di famiglia nelle case di comunità. Come cambia l’approccio alle cure primarie

L’evoluzione della medicina territoriale secondo le linee di indirizzo approvate martedì scorso dalla Conferenza delle Regioni. Continuità assistenziale, modello hub & spoke

Negli ultimi anni, il dibattito sulla riforma della medicina territoriale ha assunto un ruolo preponderante nelle discussioni sul futuro del Servizio Sanitario Nazionale. L’emergenza pandemica ha messo in luce le fragilità strutturali del sistema, evidenziando la necessità di un’assistenza capillare, integrata e capace di rispondere senza scaricare accessi impropri sul pronto soccorso. In questo senso, la riorganizzazione della rete sanitaria di prossimità non è più solo una prospettiva: è una realtà imminente. Le cure primarie si evolvono, con l’introduzione di nuovi adempimenti per i medici di famiglia, e una ridefinizione profonda delle modalità di assistenza.

Fin dall’inizio del suo mandato, il ministro Orazio Schillaci ha compiuto passi decisivi verso la riforma del sistema. Martedì scorso la Conferenza delle Regioni ha approvato le linee di indirizzo per il funzionamento delle Case di Comunità, strutture pensate come il fulcro della nuova medicina del territorio. “È una svolta necessaria per garantire cure più vicine ai cittadini e alleggerire la pressione sugli ospedali”, ha dichiarato il ministro, sostenendo con convinzione il nuovo impianto normativo.

I camici bianchi che entreranno a far parte dell’ordinamento della medicina generale saranno chiamati a svolgere un doppio ruolo: da un lato assistere i pazienti secondo le modalità tradizionali; dall’altro, prestare servizio orario nelle Case di Comunità, secondo turni assegnati dalle Aziende sanitarie locali. Una volta erano i giovani medici, spesso neolaureati o precari, a sobbarcarsi domeniche, notturni e festivi. Questo nuovo assetto segna l’addio definitivo al vecchio concetto di guardia medica, si prefigura un servizio di assistenza territoriale continuativa a rotazione, attivo 24 ore su 24, 7 giorni su 7.

Il cuore della riforma è il modello organizzativo “hub and spoke”. Le strutture hub saranno centri di riferimento per i servizi sanitari più complessi e per la continuità assistenziale, con presenza di medici garantita h24. Gli spoke, invece, saranno presidi decentrati, dedicati all’assistenza primaria, operativi per 12 ore al giorno, sei giorni su sette. Questa rete integrata mira a offrire risposte tempestive ai bisogni non differibili, gestire le cronicità e la fragilità in équipe multidisciplinari, promuovere la salute pubblica e garantire un primo livello di diagnostica. Si tenga presente anche il fattore mobilità: oggi come oggi le persone si muovono molto di più rispetto al passato e devono poter trovare risposte certe anche in città diverse, e regioni diverse, lontane dal domicilio abituale.

Le Case di Comunità saranno dotate di strumenti per la semeiotica strumentale come ECG ed ecografi, accesso alle banche dati, al fascicolo sanitario elettronico, alle tecnologie per il teleconsulto e la telemedicina. I medici saranno in grado di assistere residenti e turisti alla stessa stregua, studenti fuori sede e cittadini temporaneamente presenti sul territorio. “La presa in carico dei pazienti cronici e fragili sarà una delle priorità, in sinergia con infermieri e specialisti”, sottolineano fonti ministeriali.

Un altro pilastro della riforma è la prevenzione. Le nuove strutture si occuperanno di campagne vaccinali, promozione di sani stili di vita e interventi mirati su gruppi a rischio, attraverso la stratificazione della popolazione per bisogni e l’applicazione della cosiddetta medicina d’iniziativa. L’obiettivo è intercettare precocemente le patologie e intervenire prima che si traducano in emergenze.

Resta aperta la questione del reperimento del personale. Le Regioni, che saranno chiamate a rendere operativo il nuovo sistema, dovranno affrontare le difficoltà legate alla carenza di personale, soprattutto tra le nuove leve. “Servirà uno sforzo congiunto per rendere attrattivo questo modello e garantire la sostenibilità del cambiamento”, avvertono gli esperti. La riforma della medicina territoriale non è solo una risposta alle criticità del presente, ma un investimento sul futuro della sanità italiana. Un futuro in cui la prossimità, la continuità e l’integrazione diventano le parole chiave per una cura più equa, efficace e umana.

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