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Malattie rare: fino a 10 anni per una diagnosi

In pista Argo: i “red flags” per riconoscerle

La formazione dei professionisti, dai medici di base, ai pediatri, agli specialisti: questi gli ingredienti per il buon funzionamento di una rete malattie rare di successo, uno dei compiti principali del Comitato Nazionale Malattie rare, che insieme alla CRUI (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane) ed ai Centri di Coordinamento Regionali un monitoraggio delle attività di formazione a livello nazionale.
“Abbiamo recentemente avviato un progetto nazionale chiamato ARGO – avverte Giuseppe Limongelli – Direttore del Centro di Coordinamento Malattie Rare della Regione Campania – dal nome del cane di Ulisse, l’unico che nell’Odissea, dopo vent’anni di separazione, lo riconosce dalla voce, senza bisogno che sia lui a rivelarsi. Questo per evocare il fatto che anche le persone con malattia rara, spesso, vivono un’Odissea. Viene chiamata odissea diagnostica. ​Questo progetto, che mette insieme i maggiori esperti nazionali ed i centri di coordinamento regionali, ha l’ambizione di definire quegli indicatori trasversali o markers che possono far scattare il sospetto di malattia rara, riducendo il ritardo diagnostico, che talora può superare i 7-10 anni con costi personali e sociali e ridotte possibilità di trattamento, quando si arriva troppo tardi. Con Argo vogliamo cambiare questo paradigma, in un momento storico in cui la tecnologia ci permette sempre di più di arrivare ad una diagnosi precoce, ed abbiamo trattamenti sempre più avanzati per le persone con malattia rara”.
Non esiste sospetto senza conoscenza, non esiste conoscenza senza formazione, che deve essere orientata alla conoscenza dei “campanelli di allarme” o “red flags”, quesi segni clinici e strumentali o sintomi che messi insieme spesso nascondono un complesso puzzle da comporre per fare diagnosi di una patologia rara. Il sospetto è quindi il punto di partenza per indirizzare rapidamente il paziente verso i centri di riferimento, dove può trovare una risposta articolata dal punto di vista diagnostico e di presa in carico, oltre ad un trattamento specifico per la patologia da cui è affetto.
La regione Campania ha recentemente riorganizzato la rete malattie rare che assiste circa 40,000 pazienti con un nuovo piano regionale, che prevede un centro di coordinamento malattie rare presso l’azienda dei colli, 22 centri di eccellenza riconosciuti a livello europeo in 6 ospedali campani, e circa circa 150 unità operative riconosciute come centri riferimento in 10 ospedali e nelle Asl Napoli 1 e Salerno che negli ultimi anni sono entrate nella rete sempre più ad estensione territoriale. A breve anche l’Asl di Caserta potrebbe entrare a far parte della rete malattie rare Campania.
In Campania c’è un centro screening neonatale ben organizzato presso la Federico 2, con laboratori presso il Ceinge e un centro clinico presso la pediatria della azienda policlinico Federico II, con 45 patologie, ad oggi oggetto di screening.
E proprio per presentare ARGO si sono riuniti nei giorni scorsi a Napoli tutti i centri regionali italiani. Fari puntati su 22 indicatori comuni individuati per tutte le patologie. «Fondamentale il ruolo di medici di famiglia e pediatri ma vanno formati sulla cultura del sospetto sulle red flags» ha sottolineato Limongelli. Il progetto Argo, nato sotto la direzione scientifica di Limongelli,
ha identificato per la prima volta 22 indicatori clinici e operativi che costituiscono altrettanti campanelli d’allarme per accelerare il percorso diagnostico dei pazienti. I 22 indicatori rappresentano vere e proprie “red flags” che medici di base, pediatri e pronto soccorso possono utilizzare per riconoscere tempestivamente i segnali di una possibile malattia rara. Tra questi l’attenta valutazione della storia familiare, presenza di cluster di malformazioni congenite, manifestazioni insolite di malattie comuni, ritardi o regressioni nello sviluppo neuroevolutivo e patologie gravi senza spiegazione evidente.
«La malattia rara è una sfida, è quasi come comporre un puzzle: mettere insieme segni, sintomi e dati strumentali, che sono i cosiddetti campanelli d’allarme, i quali, letti insieme, possono portarci alla diagnosi e talora anche a un trattamento specifico. Quello che cerchiamo di fare con questo progetto molto ambizioso è mettere insieme i massimi esperti clinico-scientifici e istituzionali, seduti allo stesso tavolo per definire gli indicatori trasversali da cercare nella storia clinica dei pazienti e nel ritardo diagnostico che molti di loro vivono» aggiunge Limongelli.
La ricerca, una Delphi consensus condotta in due fasi, e che ha coinvolto 55 esperti di malattie rare, rappresenta il primo documento comune sottoscritto da tutti i Centri di Coordinamento per le Malattie Rare delle Regioni italiane. L’obiettivo è ridurre drasticamente la cosiddetta “odissea diagnostica” che oggi dura troppi anni. Infatti, secondo i dati del Rare Barometer, pubblicati sullo European Journal of Human Genetics e rilanciati da ISS e Ministero della Salute, le persone con malattia rara attendono in media fino a 5,4 anni per una diagnosi, con particolare svantaggio per donne, bambini e adolescenti, che affrontano tempi più lunghi. Per i bambini (2-10 anni di età) e gli adolescenti (10-20 anni) l’attesa arriva rispettivamente a 8,8 e 10,4 anni. Uno dei dati decisivi che sta alla base del progetto ARGO è quello che dimostra che un corretto indirizzamento verso un centro specializzato può ridurre il tempo medio di attesa del 60%, un periodo decisivo per affrontare in modo corretto questo tipo di patologie.
All’evento hanno partecipato oltre 30 esperti nazionali, rappresentanti di tutte le Regioni italiane, delegati dell’Istituto Superiore di Sanità, delle reti europee ERN, delle associazioni pazienti e dell’industria farmaceutica.

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