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Dalle cellule della pelle agli embrioni: la nuova frontiera della fertilità

Scienziati americani hanno creato ovociti funzionali partendo da Dna somatico umano, aprendo scenari mai visti prima d’ora. Ma la strada dal laboratorio alla clinica è ancora lunga.

La procreazione medicalmente assistita è da decenni un campo tra i più dinamici e controversi della ricerca biotecnologica. Dalla fecondazione alla crioconservazione, fino alle tecniche di editing genetico, ogni passo avanti ha sollevato interrogativi etici e speranze concrete. Una sperimentazione condotta negli Stati Uniti ha mostrato la possibilità di generare ovociti funzionali a partire dal Dna di cellule della pelle umana. Una scoperta che, se confermata e perfezionata, potrebbe aprire nuove strade per affrontare l’infertilità e la genitorialità. Secondo quanto riportato dalla stampa americana, un team di ricercatori ha annunciato di aver introdotto il Dna di cellule cutanee umane in ovociti “funzionali”, capaci di dare origine a embrioni nelle prime fasi di sviluppo. Lo studio, condotto presso l’Oregon Health & Science University, rappresenta un passo avanti nella cosiddetta “gametogenesi in vitro”, ovvero la creazione di cellule germinali in laboratorio (ovuli e spermatozoi) a partire da cellule somatiche.

“Questa tecnica offre speranza a milioni di persone affette da infertilità dovuta all’assenza di ovociti o spermatozoi,” ha dichiarato Paula Amato, docente di ostetricia e ginecologia e coautrice dello studio. “Inoltre, potrebbe consentire anche coppie dello stesso sesso di generare figli geneticamente riconducibili a entrambi i partner.” Il processo, ancora in fase sperimentale, prevede la riprogrammazione delle cellule della pelle in cellule staminali pluripotenti, che vengono poi indotte a differenziarsi in ovociti. Questi ovociti sono stati definiti “funzionali” perché in grado di essere fecondati e di avviare lo sviluppo embrionale, sia pure in fase iniziale. Gli autori sottolineano che gli ovuli creati non sono ancora utilizzabili per applicazioni di Pma, serviranno ulteriori ricerche per verificare la sicurezza del prodotto del concepimento, la stabilità genetica e la capacità di portare a termine una gravidanza.

La scoperta si inserisce in un filone di ricerca che ha già visto risultati promettenti in modelli animali, ma che finora non aveva prodotto ovociti umani capaci di avviare lo sviluppo embrionale. Se confermata, potrebbe aprire scenari inediti: dalla possibilità di preservare la fertilità in pazienti oncologici, alla creazione di gameti per persone transessuali, fino alla genitorialità omosessuale con patrimonio genetico condiviso. Le implicazioni etiche e regolatorie sono tutt’altro che trascurabili, si sollevano interrogativi sulla manipolazione genetica, sulla selezione embrionale e sull’identità biologica degli individui. La comunità scientifica invita alla prudenza: “Ogni passo” ha precisato la professoressa Amato “dovrà essere validato con rigore e trasparenza”.

La notizia ha sollevato un dibattito tra bioeticisti, clinici e associazioni per i diritti civili. Alcuni vedono in questa tecnica una svolta epocale per l’inclusività riproduttiva, altri temono derive eugenetiche e una medicalizzazione eccessiva della genitorialità. In attesa di ulteriori sviluppi, resta il dato scientifico e parlano i fatti: per la prima volta, ovociti umani funzionali sono stati generati in laboratorio da cellule della pelle. Un risultato che, sia pure ancora lontano da una applicazione clinica, segna un confine nuovo tra ciò che è possibile e ciò che sarà eticamente e clinicamente accettabile.

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