Un piano d’azione in tre punti per superare l’emergenza. Investire nella salute mentale aumenterebbe occupazione e produttività. In Italia 17 milioni di persone con problemi di salute mentale, ma metà non ricevono cure. E non solo: depressione e ansia causano una perdita economica globale stimata in 1 trilione di dollari all’anno.
In Italia, la salute mentale pesa sul mondo del lavoro con una perdita di 63 miliardi di euro l’anno tra calo di produttività, assenteismo e disoccupazione di lunga durata. Solo il 16% delle imprese, però, ha implementato programmi dedicati alla salute mentale dei dipendenti. Esperti e rappresentanti delle istituzioni a confronto nel convegno One Mental Health.
La salute mentale come priorità assoluta per la salute globale, anche sui luoghi di lavoro. È quanto è emerso dal convegno “One Mental Health”, svoltosi a Roma, presso la Sala Alessandrina, che – alla vigilia della Giornata Mondiale della Salute Mentale – ha riunito esperti, rappresentanti delle istituzioni e delle associazioni di pazienti per delineare strategie condivise in risposta a una emergenza silenziosa ma crescente.

Un’emergenza sanitaria ed economica
Secondo i dati discussi nel convegno, organizzato da Motore Sanità con il contributo incondizionato di Angelini Pharma, le condizioni neurologiche colpiscono 3,4 miliardi di persone, a cui si aggiunge quasi 1 miliardo di individui con disturbi mentali. In Europa, circa 179 milioni di persone – il 38% della popolazione – convivono con patologie neurologiche o mentali. Oltre all’impatto sanitario, queste condizioni generano conseguenze economiche e sociali rilevanti, che colpiscono anche famiglie e caregiver: dallo stigma all’isolamento, fino a difficoltà finanziarie. I costi per i sistemi sanitari superano gli 800 miliardi di euro l’anno, una cifra destinata a crescere con l’invecchiamento della popolazione. In Italia, i costi legati al deterioramento della salute cerebrale ammontano a 87 miliardi di euro l’anno, con oltre il 10% delle famiglie italiane colpite da malattie neuropsichiatriche.
Oltre il 15% degli adulti in età lavorativa, poi, soffre di disturbi mentali. Tra questi, depressione e ansia sono responsabili di una perdita economica globale stimata in 1 trilione di dollari all’anno, dovuta a cali di produttività, assenteismo e difficoltà di reinserimento lavorativo.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stima che circa il 50% delle persone con un disturbo mentale non riceva alcuna cura, e nei Paesi a basso reddito questa percentuale superi il 75%. Un dato che fotografa un divario drammatico tra bisogno e accesso ai servizi, con pesanti ripercussioni sulla salute collettiva, sulla coesione sociale e sulla sostenibilità economica.
Salute mentale in Italia: 17 milioni di persone coinvolte nell’arco della vita
In Italia, secondo i dati condivisi nel convegno, quasi 17 milioni di persone sperimentano un disturbo mentale nel corso della vita. Di queste, però, metà non riceve un trattamento adeguato.
I disturbi mentali rappresentano la prima causa di disabilità e una delle principali voci di spesa indiretta per il sistema Paese. Si calcola che il loro impatto economico sia pari a oltre il 4% del PIL nazionale, sommando i costi sanitari diretti e quelli legati alla perdita di produttività, alle assenze prolungate e al mancato impiego. La fascia più colpita è quella dei giovani tra i 18 e i 34 anni, ma si registra una crescita significativa anche tra donne e lavoratori precari, più esposti allo stress e alla vulnerabilità economica.
Secondo l’ultimo Rapporto Salute Mentale del Ministero della Salute, gli utenti assistiti dai servizi specialistici in Italia sono 854.040, con forti disomogeneità territoriali: dai 108,5 per 10.000 abitanti adulti delle Marche ai 325,9 della Liguria. Il 54,5% degli utenti è di sesso femminile, mentre oltre due terzi hanno più di 45 anni. Le prestazioni erogate dai servizi territoriali hanno superato quota 9,6 milioni (+10% rispetto al 2022).
Un aspetto critico riguarda il personale: negli ultimi dieci anni si è registrata una riduzione del 20% degli operatori nei Dipartimenti di Salute Mentale, mentre la domanda di assistenza è cresciuta. Il risultato è un sistema sotto pressione, con tempi di attesa lunghi e risposte frammentate.
Un quadro che, come hanno ribadito i relatori, impone risposte rapide, coordinate e strutturali. Come quelle contenute nel Piano di Azione Nazionale per la Salute Mentale (PANSM), a cui ha lavorato il Tavolo Tecnico sulla Salute Mentale del Ministero della Salute, prevedendo l’introduzione di una serie di misure innovative per il settore, anche attraverso un modello organizzativo che mira a rafforzare la collaborazione tra professionisti, istituzioni, famiglie e comunità, ispirato a un approccio bio-psico-sociale e in linea con la visione One Health.

Salute mentale e lavoro: tre azioni per il benessere nelle aziende
Uno dei temi centrali del convegno è stato il legame tra salute mentale e lavoro. I dati evidenziano che un lavoratore su sei (sei milioni di persone) sperimenta un disturbo mentale nel corso della vita professionale. E si calcola che i disturbi mentali, in Italia, facciano registrare perdite complessive per oltre 63 miliardi di euro, legate alla perdita di produttività, all’assenteismo e alla disoccupazione di lunga durata.
Le linee guida OMS indicano tre obiettivi strategici per costruire ambienti di lavoro sani e inclusivi: l’organizzazione del lavoro possa tutelare la salute mentale delle persone (prevenzione dei rischi psicosociali); il lavoro possa potenziare le risorse individuali e collettive necessarie per raggiungere uno stato di benessere duraturo (promozione della salute); Il lavoro possa includere e valorizzare le minoranze che sono oggetto di discriminazione (supporto e inclusione).
Alberto Siracusano, professore emerito di Psichiatria, Università Tor Vergata, coordinatore del Tavolo Tecnico ministeriale sulla salute mentale e Presidente del CSS e Giuseppe Nicolò, Direttore DSM-DP Asl Roma 5, coordinatore vicario del Tavolo tecnico ministeriale sulla salute mentale, oltre ai rappresentanti delle associazioni di pazienti e delle istituzioni hanno identificato tre punti d’azione per migliorare l’attuale scenario
- Salute mentale e lavoro
Il 64,8% della prevalenza di disturbi mentali si concentra nella popolazione in età lavorativa, riducendo in molti casi la capacità produttiva. Promuovere attività di benessere mentale sui luoghi di lavoro, adottare l’inclusività e l’ascolto sono le prime leve da azionare per ridurre questa incidenza. La relazione tra salute mentale e lavoro è bidirezionale e richiede un cambio di paradigma. Promuovere il reinserimento può generare significativi benefici, anche di lungo termine, per le imprese e per l’economia. Il lavoro può rappresentare un importante fattore di protezione per la salute mentale, offrendo sicurezza economica, una routine strutturata e interazioni sociali.
- Maggiori risorse e investimenti sui professionisti sanitari
Con il 3,4% del Fondo Sanitario destinato alla salute mentale, l’Italia è molto sotto la media europea dell’8,3%, con la Francia che arriva al 15%. Portare la quota al 5% permetterebbe di intensificare l’assistenza territoriale, implementare l’assistenza ai giovani pazienti nella fase di esordio delle malattie, garantire la continuità della cura sia tra ospedale e CSM, migliorare l’appropriatezza dei trattamenti, l’aderenza e controllare il rischio di effetti collaterali. In tutte le Regioni, i Dipartimenti di Salute Mentale risultano sottodimensionati in termini di personale sanitario e socio-sanitario. Sulla base delle analisi sul fabbisogno del personale SSN elaborate da Agenas e Conferenza Stato Regioni emerge la necessità di aumentare del 47% l’attuale dotazione di personale presso i DSM.
- Iniziative di awareness e lotta allo stigma
Oggi circa 200.000 pazienti sospendono il trattamento farmacologico, ed oltre 3.000 non si presentano agli interventi psicoeducativi o psicoterapeutici richiesti a causa dello stigma
Occorre avviare una campagna di sensibilizzazione volta a promuovere una corretta informazione sulla salute mentale, affrontando stereotipi e pregiudizi che spesso alimentano l’isolamento e la discriminazione. Attraverso media tradizionali, social media e iniziative locali, è necessario diffondere messaggi che favoriscano l’inclusione e il rispetto delle persone con disturbi mentali, riducendo lo stigma e favorendo il reinserimento scolastico e sociale.
Nella sola depressione il 50% dei pazienti si rifiuta di accedere a programmi per la percezione di stigma ed il timore di essere identificati come “malati mentali”.
I dati mostrano che ogni euro investito in salute mentale sul lavoro genera un ritorno di 4 euro in produttività, evidenziando la convenienza economica di un approccio preventivo e integrato. Eppure, secondo i dati Ocse del 2025, le iniziative aziendali strutturate in questa direzione restano rare: solo il 16% delle imprese italiane ha implementato programmi dedicati alla salute mentale dei dipendenti.

Un impegno comune per una nuova cultura del benessere
Il convegno “One Mental Health” ha posto l’accento sulla necessità di superare la separazione tra salute fisica e salute mentale, adottando una visione unitaria del benessere, che comprenda anche le dimensioni sociale, relazionale ed economica. Ad aprire i lavori, dopo i saluti istituzionali dal Ministro della Salute, Orazio Schillaci, i professori Alberto Siracusano, Coordinatore Tavolo Tecnico sulla Salute Mentale, Ministero della Salute, e Giuseppe Quintavalle, Direttore Generale ASL Roma 1 e Vicepresidente Fiaso.
La salute mentale, è stato sottolineato, non riguarda solo la sfera clinica, ma rappresenta una condizione di equilibrio e di partecipazione attiva alla vita collettiva.
Investire in salute mentale significa, quindi, investire in capitale umano, produttività e coesione sociale.





