Chimica in recupero, biologia stabile: il Ministero valuta correttivi per una riforma che continua a far discutere
Il secondo appello per l’ingresso alle facoltà di Medicina, Chirurgia e Odontoiatria conferma un quadro complesso, in cui la selezione resta severa e il dibattito sulla riforma dell’accesso continua a essere infuocato. Mentre migliaia di studenti attendono gli esiti ufficiali, previsti tra il 22 e il 23 dicembre, il sistema mostra ancora una volta le sue criticità: programmi vasti, prove percepite come difficili e una distribuzione dei risultati che mette in luce differenze significative tra le materie. Sullo sfondo, il confronto tra ministero, università e rappresentanze studentesche per calibrare uno sbarramento che nella pratica sta generando tensioni e interrogativi.
Nel secondo appello sono stati consegnati complessivamente 117mila compiti: 44mila per fisica, 35mila per biologia e oltre 38mila per chimica. Una partecipazione massiccia, che conferma l’attrattività delle professioni sanitarie ma anche la pressione che grava sugli aspiranti medici. Rispetto al primo appello, quando biologia era risultata la materia più accessibile, questa volta sembrano emergere performance migliori in chimica, seguita proprio da Biologia. Fisica, invece, si conferma la disciplina più ostica, come già accaduto il 20 novembre.
Le impressioni raccolte all’uscita dalle aule non lasciano presagire un’inversione di tendenza: molti studenti hanno riferito di aver trovato le prove «difficili quanto quelle del primo appello», alimentando l’ipotesi che anche questa volta il numero dei bocciati sarà elevato. Una prospettiva che riaccende il dibattito sulla struttura dei test e sulla loro reale capacità di selezionare in modo efficace e proporzionato.
La ministra dell’Università Anna Maria Bernini ha riconosciuto la criticità: «È vero, Fisica è risultata una materia ostica, ci confronteremo con le università, sempre tenendo conto dell’autonomia universitaria; le domande non sono state preparate da noi ma da una commissione di professori universitari», ha dichiarato nei giorni scorsi. Bernini ha ribadito che la riforma «è perfettibile ma non è un fallimento», sottolineando la volontà di intervenire già dal prossimo anno. Tra le ipotesi allo studio figurano la riduzione dei programmi d’esame, l’estensione della durata delle lezioni e un ampliamento del tempo tra la fine dei corsi e gli appelli, così da garantire maggiore spazio alla didattica e una preparazione più solida.
Sul piano operativo, una certezza c’è: tutti gli studenti che hanno sostenuto gli esami confluiranno nella graduatoria nazionale che determinerà l’accesso alle facoltà. Per evitare che il numero dei posti disponibili superi quello dei promossi, il ministero sta valutando un criterio di ordinamento basato sui risultati delle tre prove. In cima alla graduatoria dovrebbero collocarsi gli studenti che avranno ottenuto almeno tre voti pari a 18; a seguire coloro che avranno conseguito due 18 e una insufficienza; poi, via via, tutti gli altri. Chi non avrà raggiunto almeno 18 in ciascuna delle tre materie riceverà comunque l’assegnazione di una sede, ma dovrà recuperare i crediti formativi mancanti nell’ateneo di destinazione.
Il sistema, dunque, non esclude, ma impone percorsi di recupero che potrebbero diventare un ulteriore banco di prova per gli studenti e per le università. La sfida, ora, è trovare un equilibrio tra selezione e inclusione, tra rigore accademico e sostenibilità formativa. I prossimi mesi diranno se le correzioni annunciate riusciranno a rendere il percorso di accesso a Medicina più trasparente, più equo e più aderente alle reali esigenze della formazione sanitaria.





