L’Università della California-San Diego ha lavorato per 18 mesi ad un programma di intelligenza artificiale (IA) pensato per aiutare i medici a identificare la polmonite dalle immagini radiografiche.
I ricercatori che lo hanno sviluppato, mossi dall’emergenza Covid-19, hanno distribuito rapidamente l’applicazione, che attraverso l’uso di immagini colorate punteggia i referti radiografici indicando dove potrebbero esservi danni ai polmoni o altri segni di polmonite.
Il modello è stato testato su oltre 6.000 radiografie del torace e sembra stia fornendo un buon valore diagnostico. Il team di ricerca condotto dal Prof. Hsiao, direttore del laboratorio di analisi dati di imaging artificiale e di IA è uno dei tanti che sta cercando di utilizzare il machine learning per facilitare le scelte mediche nello svolgere compiti complessi. Come ad esempio in epoca Covid-19, decidere quali pazienti affronteranno il maggior rischio di complicanze e quali invece potranno essere tranquillamente convogliati verso cure di intensità inferiore. I ricercatori affermano che i risultati fino ad oggi sono molto incoraggianti e che non vi sono state esperienze negative, sebbene ancora non siano stati pubblicati risultati definitivi. Comunque solo 1/3 delle decisioni prese è stato cambiato dal programma di IA.
I programmi di apprendimento automatico elaborano milioni di dati creando algoritmi rigorosamente testati per rilevare schemi dispendiosi e difficili da sintetizzare per i medici.
La ricerca in questo ambito è importante e per questo quasi 2 miliardi sono stati investiti dalle aziende di settore per la cosiddetta IA nel 2019. Ma la crisi del coronavirus ha spinto ad accelerare su applicazioni promettenti (solo nei primi 3 mesi 2020 oltre 600 milioni).
A New York City, due tra i principali enti ospedalieri utilizzano algoritmi abilitati all’intelligenza artificiale per decidere quando e come i pazienti devono passare a un’altra fase di assistenza o essere rimandati a casa.
Al Mount Sinai Health System, un algoritmo di IA individua i pazienti che potrebbero essere dimessi dall’ospedale.
Alla Johns Hopkins University si sta studiando un algoritmo per predire il danno cardiaco nei pazienti COVID-19, attraverso una sovvenzione della National Science Foundation.
Alla scuola di medicina NYU Langone Health hanno sviluppato un modello di intelligenza artificiale in grado di prevedere se un paziente COVID-19 che entra in ospedale andrà incontro ad un decorso negativo entro i successivi quattro giorni.
Sempre in USA al di fuori dell’ospedale, la modellizzazione dei fattori di rischio collegata all’IA viene utilizzata per aiutare a rintracciare i pazienti che non sono infettati dal coronavirus ma potrebbero essere ad alto rischio di complicazioni contraendo il COVID-19.
Molti studiosi però richiamano i colleghi alla prudenza, infatti sebbene questo modo di facilitare le scelte spesso sia considerato utile, il lancio di programmi nell’urgenza/emergenza di una pandemia se non validati con i giusti tempi, potrebbe essere fonte di confusione.
Tra questi il Prof. Topol direttore dell’Istituto di traduzione Scripps Research ed esperto di Information Technology sanitaria, dice che usare strumenti in grado di prevedere quali pazienti affetti da coronavirus potrebbero ammalarsi gravemente escludendone altri, è un azzardo senza che prima questi siano stati validati secondo i principi della medicina basata sulle evidenze (EBM).
Fino a che studi importanti che evidenzino risultati scientificamente validati non saranno disponibili, la prudenza sarà d’obbligo considerando che la tecnologia è sviluppata per aiutare i medici a prendere decisioni terapeutiche e non è un sostituto del loro giudizio.