Da quando il Covid-19 ha fatto la sua comparsa, ormai oltre un anno fa, la comunità scientifica internazionale ha posto grande attenzione tra l’associazione che può intercorrere tra inquinamento dell’aria e infezione.
Essendo però il Covid-19 una malattia del tutto nuova, non esistono ancora molte certezze sull’argomento visto che moltissimi studi sono ancora in atto e probabilmente richiederanno ancora molto tempo per fornire dei dati scientifici inoppugnabili.
Al momento però è certo che una correlazione esista, infatti diversi studi suggeriscono che tra le aree geografiche maggiormente colpite dalla pandemia di Covid-19 a livello mondiale (sia in termini di diffusione del virus che in termini di gravità dei sintomi e prognosi della malattia) ci siano quelle con il più alto tasso di inquinamento atmosferico.
Ancora non se ne conosce la causa esatta di questo fenomeno ma è clinicamente dimostrato che l’inquinamento atmosferico ha un ruolo nell’esacerbazione di diverse malattie infettive e croniche nel tratto respiratorio e potrebbe essere così anche per l’infezione da SARS-COV-2.
Una delle ipotesi maggiormente accreditata dal mondo scientifico ipotizza che l’inquinamento atmosferico non sia un elemento in grado di facilitare l’ingresso del virus nell’organismo ma rappresenterebbe un ulteriore fattore di rischio al pari di ipertensione, diabete e obesità, quindi in grado ai aumentare la suscettibilità all’infezione o aggravare i sintomi del Covid-19.
In altri termini vivere in una zona ad alto tasso di inquinamento atmosferico non aumenta il rischio di contrarre il Covid-19 ma aumenta la probabilità di contrarre forme più severe della malattia. Per fare chiarezza su questa correlazione molto complessa tra inquinamento e Covid-19 Mondo Sanità ha intervistato Alessandro Miani, Presidente Società Italiana di Medicina Ambientale (SIMA).