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Aifa, Rapporto OsMed: riparte il consumo di antibiotici. Generici, Italia terzultima in Europa

Il consumo di antibiotici in Italia torna a salire, un trend che contraddice gli appelli (appropriatezza prescrittiva) e ripropone in termini perentori il problema dei batteri resistenti alle terapie. Secondo il Rapporto OsMed dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), nel 2023 si è registrato un incremento del 6,4% nell’impiego di questi farmaci rispetto all’anno precedente. Un dato che suona come un campanello d’allarme.

Quattro persone su dieci hanno ricevuto almeno una prescrizione di antibiotico nel corso dell’anno passato. Le disparità regionali sono significative: al Sud, il 44,8% della popolazione ha assunto almeno un antibiotico, rispetto al 30,9% del Nord e al 39,9% del Centro. Si tratta di cifre che sollevano interrogativi sui criteri utilizzati dai medici nel formulare tali scelte terapeutiche.

Le discrepanze nel consumo di antibiotici mostrano un’Italia spaccata in due, saltano agli occhi in particolare le statistiche relative ad Abruzzo, Campania e Basilicata, laddove il numero di dosi di antibiotico prescritti per mille abitanti (media nazionale 17,2 dosi, Bolzano 11,1 dosi) tocca picchi di 22,4, 21,7 e 21,5 dosi rispettivamente.

Come evidenziato nel report dell’AIFA, il ricorso a farmaci per il trattamento di infezioni causate da microrganismi multi-resistenti sta diventando sempre più necessario. Ogni giorno, centinaia di persone sono ricoverate in ospedale a causa di infezioni per le quali le cure si rivelano inefficaci a causa della resistenza ai farmaci.

“È opportuno precisare, scrivono gli epidemiologi, che quando anche questi dati evidenzino una profonda differenza tra le regioni del Sud e, in alcuni casi, anche del Centro, rispetto al Nord Italia, tali dati non possono essere interpretati esclusivamente come una generica inappropriatezza delle scelte dei medici, avulsa dalle caratteristiche del contesto assistenziale e sociale in cui si determinano. Infatti, l’attività prescrittiva è la conseguenza e l’esito anche dell’interazione con i pazienti, dipende dalla fruibilità e dall’organizzazione dei percorsi assistenziali, accesso alla diagnosi e al monitoraggio dei trattamenti”.

Venendo ai generici, la quota sul mercato italiano ha registrato un incremento significativo, con la spesa che è salita dal 9% nel 2011 al 22,8% nel 2023. Sebbene i numeri possano sembrare positivi, un’analisi più approfondita rivela che l’Italia è terzultima in Europa relativamente ai consumi per questa voce.

Secondo i dati IQVIA, la crescita nel consumo di generici in Italia si attesta al 31,2% in termini percentuali, ma il progresso negli ultimi cinque anni è stato limitato a soli 3 punti percentuali. In media, il 51% dei farmaci a brevetto scaduto consumati in Europa è rappresentato da generici, mentre paesi come la Gran Bretagna raggiungono addirittura il 60%. In confronto, l’Italia ha ancora una fetta rilevante del mercato (44,3%) occupata da medicinali blasonati.

Esistono regioni come Calabria, Campania, Sicilia e Basilicata, dove il ricorso ai generici oscilla tra il 19% e il 21%. Al contrario, province come Trento e Lombardia mostrano percentuali che raggiungono rispettivamente il 44% e il 43%. Questa eterogeneità suggerisce che fattori locali quali cultura, informazione e politiche sanitarie regionali influenzano in modo significativo gli orientamenti.

Malgrado le opportunità di risparmio economico offerte dai generici, la diffidenza persiste. Nel 2023, gli assistiti hanno speso un miliardo e 60 milioni di euro per coprire il differenziale di prezzo e portare a casa i farmaci blasonati, nonostante la disponibilità di alternative gratuite.

Uno studio dell’Aifa evidenzia come i generici introdotti dal 2021 abbiano portato a una riduzione media del prezzo del 20% rispetto agli originator, contribuendo a rendere i farmaci equivalenti una scelta più vantaggiosa. Tuttavia, il fatto che i prezzi degli originator abbiano già iniziato a calare ancor prima della commercializzazione degli equivalenti rende la situazione ancora più complessa.

Sui farmaci di fascia C si registra un aumento del 9,8% rispetto all’anno precedente. In totale, i cittadini hanno speso 7,1 miliardi di euro. L’aumento è attribuibile all’innalzamento dei prezzi e a un passaggio verso medicinali più costosi.

Della quota di 7,1 miliardi spesi, il 54% (equivalente a 3,8 miliardi) riguarda farmaci soggetti a prescrizione (obbligo di ricetta del medico) mentre il restante 46% è destinato a prodotti di automedicazione. Le categorie di farmaci di classe C più acquistate nel 2023 includono le benzodiazepine, i contraccettivi orali e i medicinali per la disfunzione erettile, per un totale di 250 milioni di euro.

Tra i farmaci di automedicazione, l’ibuprofene ha mantenuto la leadership per quanto riguarda la spesa, seguito dal diclofenac. Tra i farmaci di fascia A acquistati privatamente dai cittadini, l’amoxicillina in associazione all’acido clavulanico e il colecalciferolo risultano quelli con un incremento maggiore rispetto all’anno precedente, rispettivamente del 16,9% e 21,5%. Una nota interessante riguarda i farmaci da automedicazione: i derivati dell’acido propionico, FANS, si confermano la categoria più gettonata, 12,6% della spesa totale, con un valore di 416,3 milioni di euro.

È interessante notare che il volume dei consumi dei farmaci di fascia C è rimasto invariato, il cambiamento sembra dipendere più dalle dinamiche dei listini che da un aumento della domanda. D’altra parte, la spesa sostenuta direttamente dalle Regioni per i farmaci di fascia C ha mostrato un netto calo. Infatti, con riferimento al Decreto Balduzzi del 2012, che consente alle Regioni di acquistare farmaci direttamente dalle aziende in attesa della negoziazione del prezzo, la spesa per i farmaci di fascia C-NN è scesa drammaticamente a 47,5 milioni di euro, registrando un calo del 63,1% rispetto all’anno precedente.

Questo cambiamento potrebbe essere indicativo di un’accelerazione delle procedure autorizzative e di una maggiore efficienza da parte dell’AIFA, contribuendo a mettere in evidenza dinamiche più complesse all’interno del sistema.

“I dati del Rapporto OsMed mostrano che stiamo migliorando in termini di appropriatezza prescrittiva e aderenza alle terapie mentre resta più o meno stabile l’uso dei generici, tre pilastri del sistema di assistenza farmaceutica che fanno bene alla salute dei cittadini e alla tenuta dei conti pubblici. Su questi aspetti c’è tuttavia ancora molto da lavorare per garantire da un lato la migliore efficacia dei farmaci, dall’altro la loro sostenibilità economica”, afferma il presidente AIFA, Robert Nisticò. “Per velocizzare l’accesso sul mercato dei nuovi generici, l’AIFA adotta già procedure semplificate di prezzo e rimborso; in due soli CdA sono stati approvati equivalenti per un risparmio pari a circa 200 milioni. Ma è indubbio – prosegue – che il consumo di generici è ancora limitato, se confrontato a quello di Paesi europei a noi comparabili. Per questo occorre fare più informazione ma anche formazione sull’importanza dell’utilizzo dei generici, che a parità di efficacia e sicurezza aiutano a tenere in ordine i conti dello Stato e quelli delle famiglie italiane che oggi spendono più di un miliardo per pagare la differenza di prezzo con il farmaco branded”.

Anche sull’aderenza terapeutica e l’appropriatezza prescrittiva, afferma Nisticò, “c’è ancora da migliorare, soprattutto affrontando sotto una nuova angolazione il problema delle sempre più diffuse politerapie, che per un anziano su tre si traducono nell’assunzione da 10 a più farmaci. Per questo con gli esperti delle società scientifiche e delle organizzazioni mediche abbiamo aperto un tavolo sulla prescrittomica, il campo emergente di ricerca che studia la complessa interazione tra fattori genetici ed epigenetici – come quelli legati ad età, attività fisica e fattori ambientali – e il loro impatto su efficacia e sicurezza dei farmaci prescritti. Magari per depennarne alla fine qualcuno dalla lista delle prescrizioni”.

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