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Asco premia i giovani: 17 italiani sul podio della Fondazione a Chicago

Ha un volto giovane la ricerca italiana sul cancro premiata al convegno Asco che si conclude il 4 giugno al McCormick Place di Chicago. Giovani ricercatori che hanno un’età media di 30 anni, provenienti da varie regioni dello Stivale e che conquistano le borse del Merit Award Asco 2025 messe in palio dalla Fondazione Asco in uno scenario di tagli alle istituzioni accademiche e di ricerca che l’amministrazione Trump sta portando avanti sovvertendo l’intero ecosistema scientifico del Paese a stelle e strisce. Solo ad& Harvard, sono state annullate circa 1.000 borse di studio per oltre 2,4 miliardi di dollari di finanziamenti ma sotto la scure dell’amministrazione Trum stanno cadendo una ad una anche prestigiose istituzioni scientifiche come il National Institutes of Health (NIH), i Centers for Disease Control (CDC) e l’ente regolatorio d’oltreoceano di farmaci e dispositivi medici Food and Drug Administration (FDA). E’ per questo che i finanziamenti di Conquer Cancer (la Fondazione dell’Asco), assumono ancora più valore anche simbolico con oltre 11,5 milioni di dollari assegnati attraverso più di 450 borse e premi. Un vero e proprio esempio di investimenti nella ricerca oncologica e di sostegno indipendente dal contesto politico.
Ad essere premiate sono peraltro ricerche innovative che spaziano dal tumore al seno, a quelli della sfera genito urinaria passando per le lesioni tumorali del colon-retto ma che riguardano anche le metodologie di cura innovative e soprattutto quelle più promettenti sul piano clinico.
Quel che è certo è che la ricerca oncologica italiana conquista la ribalta internazionale presentando studi di alto profilo scientifico con promettenti ricadute cliniche.
“Martina Pagliuca, già vincitrice lo scorso anno, lavora con me – avverte Michele De Laurentiis, primario di oncologia dell’Istituto tumori Pascale di Napoli , la cosa straordinaria è che 4 dei 17 premiati sono napoletani a dimostrazione del fatto che la scuola oncologica partenopea tra Pascale, Ateneo Federico II e Vanvitelli, in questo caso non presente ma ugualmente importante, esprime alcuni tra i migliori talenti al mondo. Aggiungo che Martina Pagliuca, mia ricercatrice, per il terzo anno consecutivo so aggiudica il premio Asco”.
Il premio dell’American Society of Clinical Oncology (Asco) conferito alla dottoressa Martina Pagliuca per il terzo anno consecutivo e per la quarta volta rappresenta un importante riconoscimento non solo per il suo brillante percorso accademico e scientifico, ma anche per il valore formativo del dottorato in Clinical and Translational Oncology, un programma di alta specializzazione, fortemente voluto dal Michelino De Laurentiis e dal Professor Antonio Giordano, che si distingue per la sua capacità di attrarre giovani ricercatori di talento, provenienti dall’Italia e dall’estero, offrendo una preparazione di eccellenza nel campo dell’oncologia. “Il dottorato in Clinical and Translational Oncology – aggiunge Giordano è direttore dello Sbarro Institute for Cancer Research and Molecular Medicine di Filadelfia e professore di anatomia e istologia patologica all’università di Siena e professore della Scuola superiore Meridionale di Napoli – è infatti concepito come un ambiente dinamico e all’avanguardia, fortemente orientato alla ricerca traslazionale e all’innovazione terapeutica, promuovendo su una stretta sinergia tra università, centri di ricerca e istituzioni sanitarie, con l’obiettivo di internazionalizzare le competenze dei dottorandi e prepararli ad affrontare le sfide della ricerca oncologica moderna. Il successo della dottoressa Pagliuca, testimonia, quindi, l’efficacia di un modello che coniuga rigore scientifico, collaborazione interdisciplinare ed apertura internazionale, a beneficio della scienza e della salute pubblica”.
Martina Pagliuca ha 34 anni ed è stata premiata per uno studio su una coorte di oltre 5 mila pazienti in cui sono stati messi a fuoco i risvolti comportamentali insorti dopo la diagnosi di tumore al seno con l’obiettivo di mettere a punto un trattamento personalizzato e un supporto psicologico capace di accompagnare, come parte della cura, il percorso terapeutico delle donne colpite da tumore al seno. Pagliuca ha lavorato in passato per alcuni anni in all’Istituto Gustave Roussy di Parigi. Dopo aver svolto il phD è tornata a Napoli al Pascale e oggi è anche ricercatrice in Clinical and Translational Oncology alla Scuola Superiore Meridionale.
Gli altri nomi di ricercatori partenopei sono quello di Paolo Tarantino, oncologo 33enne al Dana-Farber di Boston che ha presentato tre lavori scientifici sul carcinoma mammario e su nuovi anticorpi coniugati con farmaci a bersaglio molecolare puntando a un miglioramento delle cure nel tumore al seno triplo negativo e con metastasi cerebrali. Tarantino si è laureato a Napoli alla Federico II e specializzato all’Ieo di Milano, quindi per tre anni ha lavorato ad Harvard per poi trasferirsi a Boston. Anche Angela Viggiano, 31 anni, è specializzata in Oncologia Medica e ha messo a fuoco nella sua ricerca che ha incassato il premio della fondazione Asco sulla verifica dei trattamenti dei pazienti negli studi a doppio cieco e di controllo nei trial oncologici verificando che su 80 studi presi in considerazione circa 25 presentavano anomalie tra quanto previsto dallo studio e quanto invece ottenuto nella ricerca sull’efficacia dei nuovi farmaci che sarebbe dunque da rivalutare. C’è quindi Pietro De Placido, 33 anni, oncologo anche lui al Dana-Farber Cancer Institute di Boston che ha presentato uno studio sul ruolo della biopsia liquida nel follow-up delle pazienti colpite da tumore al seno sottoposte a trattamento farmacologico per individuare precocemente le resistenze al trattamento e le mutazioni che sottendono una capacità di aggirare il freno alla crescita dei nuovi farmaci immunoterapici.
Ma passiamo in rassegna tutto il gruppo dei giovani ricercatori italiani premiati: Paolo Tarantino, oncologo 33enne al Dana-Farber di Boston che ha presentato tre lavori scientifici sul carcinoma mammario e su nuovi anticorpi coniugati con farmaci a bersaglio molecolare puntando a un miglioramento delle cure nel tumore al seno triplo negativo e con metastasi cerebrali. Tarantino si è laureato a Napoli alla Federico II e specializzato all’Ieo di Milano, quindi per tre anni ha lavorato ad Harvard per poi trasferirsi a Boston. Il primo dei suoi tre studi testa il datopotamab deruxtecan in pazienti con metastasi cerebrali in tumori particolarmente aggressivi e con metastasi encefaliche, il secondo individua nuovi biomarcatori per predire la risposta a trastuzumab deruxtecan, in collaborazione con due biotech internazionali e per la prima volta mostra come una quantificazione sensibile dell’Her2 su tessuto tumorale possa predire in maniera efficace l’attività clinica dell’anticorpo coniugato. Il terzo approfondisce un progetto per il quale il ricercatore aveva già ottenuto il Merit Award Asco nel 2023, valutando un set di 100 tumori triplo-negativi identificando un sottogruppo che in trattamento mostra una risposta immunitaria forte e assenza di recidive da approfondire per mimare un assetto simile anche in altri tumori invece progressivi.
Anche Angela Viggiano, 31 anni, è specializzata in Oncologia Medica e ha messo a fuoco nella sua ricerca che ha incassato il premio della fondazione Asco sulla verifica dei trattamenti dei pazienti negli studi a doppio cieco e di controllo nei trial oncologici verificando che su 80 studi presi in considerazione circa 25 presentavano anomalie tra quanto previsto dallo studio e quanto invece ottenuto nella ricerca sull’efficacia dei nuovi farmaci che sarebbe dunque da rivalutare. C’è Pietro De Placido, 33 anni, oncologo anche lui al Dana-Farber Cancer Institute di Boston che ha presentato uno studio sul ruolo della biopsia liquida nel follow-up delle pazienti colpite da tumore al seno sottoposte a trattamento farmacologico per individuare precocemente le resistenze al trattamento e le mutazioni che sottendono una capacità di aggirare il freno alla crescita dei nuovi farmaci immunoterapici.
Ma passiamo in rassegna tutto il gruppo dei giovani ricercatori italiani premiati: Michela Bartolini, 30 anni, laurea alla Cattolica di Roma, specializzazione all’Humanitas di Milano, proveniente dall’entroterra marchigiano, è attiva al Norris Cancer Center della University of Southern California, dove si sta specializzando alla scuola di Heinz-Josef Lenz, tra i massimi esperti in oncologia gastrointestinale. Il suo è uno studio retrospettivo su pazienti con tumore metastatico del colon-retto. Sotto la lente della sua ricerca il ruolo del genoma non codificante, ossia le lunghe sequenze ripetute del genoma che nelle cellule in condizioni normali svolgono un ruolo passivo regolatorio e stabilizzante ma oggi riconosciute come attive nella carcinogenesi accendendo i riflettori in particolare sul long non-coding Rna che potrebbe funzionare come biomarcatore utile sia per la prognosi che per la risposta alle terapie.
Filippo G. Dall’Olio, 38 anni, bolognese lavora al laboratorio Gustave Roussy di Parigi. La ricerca premiata riguarda i tumori del distretto testa-collo solitamente refratti a trattamenti innovativi. Lo studio si è concentrato sulla identificazione di piccole tracce genetiche di Dna circolante come biomarcatori della progressione di malattia.
Elisa Agostinetto, 35 anni lavora da 5 anni in Belgio. Anche lei come si è aggiudicata il Merit Award per la terza volta e la sua ricerca si è concentrata sul tumore al seno metastatico triplo negativo, un sottotipo di cancro al seno che rappresenta circa il 10-15% di tutti i tumori al seno, caratterizzato dall’assenza di recettori per gli estrogeni, il progesterone e l’epidermone umano (HER2). Pertanto il tumore non risponde agli ormoni estrogeni e al progesterone né alla cura con gli inibitori competitivi di tali recettori né ha una sovraespressione della proteina HER2. Da ciò la prognosi sfavorevole. La ricerca premiata valuta l’aggiunta di un nuovo farmaco, oleclumab, alla chemio-immunoterapia nelle forme localmente avanzate o metastatiche. Purtroppo il nuovo schema terapeutico non aumenta la sopravvivenza libera dalla malattia ma in alcune pazienti la risposta alla chemio-immunoterapia è durata molto a lungo fornendo informazioni per predire l’assetto genetico dei tumori che beneficiano di questa terapia.
Passiamo a Veronica Conca, 33 anni, ricercatrice all’Università di Pisa che ha aggiunto l’anticorpo monoclonale panitunumab a una tripletta di farmaci chemioterapici, per pazienti con tumore del colon-retto metastatico che non presenta le mutazioni di RAS/BRAF. Una combinazione che aumenta la sopravvivenza ma non nelle risposte radiologiche e nel tempo di progressione di malattia”.
Anche Guglielmo Vetere, 28 anni, attivo all’MD Anderson Cancer Center in Texas, sta concludendo la specializzazione all’Università di Pisa. La sua ricerca ha messo sotto la lente una nuova associazione di farmaci (cetuximab, LY3214996, con o senza l’aggiunta di abemaciclib), in pazienti con tumore del colon-retto metastatico, senza mutazioni di partenza RAS e/o BRAF ma portatori di mutazioni acquisite già trattati con farmaci anti-EGFR e almeno un ciclo di chemio. Il trattamento è stato ben tollerato ma l’attività clinica è stata modesta.
Caterina Sposetti ha 32 anni, al Dana-Farber Cancer Institute di Boston si è concentrata sull’obesità come fattore di rischio per il tumore al seno dopo la manopausa grazie a un grant triennale AIRC-Fondazione Gianni Bonadonna. In pazienti in postmenopausa che hanno ricevuto una diagnosi di tumore al seno positivo agli ormoni e negativo a Her2 in sovrappeso o obese, possono cambiare la propria prognosi cambiando alimentazione e aumentando l’attività fisica. Elementi che non incidono allo stesso modo nelle pazienti giovani e in età fertile indicando un elemento di influenza che attiene alla progressione della crescita neoplastica in dipendente dagli ormoni.
Chiara Mercinelli, 31 anni, di Taranto lavora a Milano nell’unità di oncologia Oncologia Medica dell’Ircss dell’Ospedale San Raffaele e all’Università Vita Salute San Raffaele, dove segue il corso di dottorato di ricerca in Medicina molecolare. A Chicago ha presentato uno studio clinico sui tumori della vescica localizzati. Circa nel 20% dei pazienti, infatti, la malattia si estende ai muscoli e anche dopo la rimozione completa della vescica esiste il concreto rischi di recidiva. La chemio preoperatoria con cis platino funziona ma non tutti sono eleggibili. Lo studio NURE-Combo di fase 2, che porta la prima firma di Mercinelli ha testato una strategia basata sull’immunoterapia somministrata sia prima sia dopo la chirurgia. I risultati a lungo termine sono positivi e aprono così la strada a un nuovo possibile trattamento.
Alberto Giovanni Leone, 32 anni si è dedicato alle persone colpite da cancro Hiv positive spesso esclusi dagli studi clinici sui nuovi farmaci. Romano, ricercatore dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e Clinical fellow al dipartimento di Oncologia e National centre for HIV Malignancy del Chelsea and Westminster Hospital di Londra ha esaminato il livello di trascuratezza esaminando 244 nuove indicazioni farmacologiche basate su 259 studi condotti tra il 2020 e il 2024. Circa 3 su 4 continuano a escludere chi ha contratto l’infezione.
La ricerca di Paola Zagami, 33 anni, ricercatrice dell’Ieo, riguarda le giovani pazienti colpite da tumore al seno con mutazione BRCA sensibile agli ormoni. In queste pazienti la soppressione della funzione ovarica, in combinazione con la terapia endocrina, riduce il rischio di recidiva e aumenta la sopravvivenza come dimostra lo studio multicentrico internazionale BRCA BCY Collaboration. Zangani è research fellow presso la University of North Carolina. Finora non vi erano dati che dimostrassero che la soppressione della funzione ovarica fosse necessaria e vantaggiosa anche nelle pazienti con mutazioni BRCA e tumore mammario ormono-positivo. Ne arriva la conferma.
Anche Emma Zattarin, 33 anni si occupa di pazienti con mutazione BRCA e tumore al seno ormono-responsivo in stadio avanzato. L’obiettivo della sua ricerca era stabilire quale fosse la strategia migliore accoppiando i Parp-inibitori ad altre terapie che, quando questi sono stati usati, non erano ancora disponibili. Come gli inibitori di CDK4/6, oggi prescritte come prima linea di trattamento. La ricerca, uno studio retrospettivo, suggerisce che i Parp inibitori utilizzati dopo gli inibitori di CDK4/6, sono efficaci. Zattarin, lavora presso il Dipartimento di Oncologia guidato da Massimo Dominici del Policlinico di Modena, Università Modena e Reggio Emilia.
Marta Padovan, 35 anni si è invece dedicata al glioblastoma, un tumore della glia, tra i più difficili da curare: colpisce ogni anno circa 1.500 persone in Italia ed è la neoplasia cerebrale più frequente negli adulti. Tra i centri italiani più attivi nella ricerca in questo ambito vi è l’Unità di Neuro-Oncologia dell’Istituto Oncologico Veneto (IOV) di Padova, coordinata da Giuseppe Lombardi. Proprio qui è stato condotto lo studio accademico multicentrico che porta la prima firma di Marta Padovan, dell’Oncologia 1 dello IOV: per la prima volta nei pazienti affetti da glioblastoma di nuova diagnosi, è stato testato un nuovo regime basato su un farmaco mirato, regorafenib, già impiegato contro altri tumori, in combinazione con la chemioterapia e la radioterapia. La sperimentazione è di fase 1 per stabilire la massima dose tollerata del farmaco).
Matteo Repetto, 32 anni anche lui non nuovo alla aggiudicazione del premio Asco conseguito già nel 2024, lavora al Memorial Sloan-Kettering Cancer Center. Ha presentato a Chicago una ricerca sul gene ATM, chiave nella riparazione del DNA. Le mutazioni ereditarie di questo gene (trasmesse da uno dei genitori) sono associate a un aumento del rischio di sviluppare tumori. Negli eterozigoti la perdita dell’allele sano apre la strada alla tumorigenesi in una coorte di oltre 80 mila pazienti.
Gabriele Tinè, infine è un data scientist. Laureato alla Bicocca di Milano lavora al centro di Biostatistica per la Ricerca Clinica dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano. Utilizzando un modello di Ia BayeSarc mostra come predire la sopravvivenza di pazienti con sarcomi degli arti. I dati di partenza riguardano quasi 5 mila pazienti provenienti da cinque centri internazionali

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