La triplice terapia cambia il volto della broncopneumopatia cronica ostruttiva. Stabilità clinica e meno riacutizzazioni: il paradigma della COPD Stability rivoluziona la gestione della malattia
Per anni, parlare di broncopneumopatia cronica ostruttiva – la BPCO – significava descrivere una malattia cronica, ingravescente, recidivante: tre aggettivi che raccontano una disfunzione respiratoria difficile da gestire, che peggiora nel tempo e che spesso viene sottovalutata, soprattutto nelle sue fasi iniziali. Ma oggi, grazie a nuove evidenze scientifiche e a terapie mirate, secondo i medici specialisti è possibile cambiare prospettiva. La BPCO può essere stabilizzata. Non guarita, ma tenuta sotto controllo per mesi, migliorando la qualità della vita e riducendo il rischio di peggioramenti improvvisi.
Questo nuovo approccio prende il nome di “COPD Stability”, ovvero stabilità nella malattia polmonare cronica ostruttiva. Un concetto che fino a poco tempo fa sembrava utopia, ma che oggi diventa un obiettivo terapeutico concreto. Significa riuscire a mantenere per lunghi periodi una condizione di equilibrio, senza riacutizzazioni e senza un peggioramento dei sintomi. In pratica, rallentare il danno alle vie respiratorie e permettere al paziente di vivere meglio.
“Parlare di stabilizzazione della BPCO non è più solo un auspicio, ma una possibilità reale”, spiega Fulvio Braido, direttore della Clinica Malattie Respiratorie e Allergologia dell’Ospedale Policlinico IRCCS San Martino di Genova. “Grazie alla cosiddetta triplice terapia, possiamo ottenere un rallentamento significativo dell’evoluzione della malattia, con benefici tangibili per il paziente”.
I dati lo dimostrano: secondo gli studi IMPACT e FULFIL, presentati al Congresso dell’American Thoracic Society, oltre un paziente su quattro può raggiungere un anno di stabilità con la triplice terapia. Un risultato che cambia il modo di affrontare la BPCO, e che apre la strada a trattamenti più personalizzati e mirati.
Ma cosa significa, concretamente, stabilizzare la BPCO? Significa tenere sotto controllo tre aspetti fondamentali: la capacità respiratoria, il rischio di riacutizzazioni e lo stato generale di salute. La funzione polmonare si misura con test specifici, mentre la qualità della vita viene valutata attraverso questionari che indagano l’impatto della malattia sulle attività quotidiane. “Abbiamo la possibilità di fissare obiettivi misurabili e di monitorarli nel tempo”, aggiunge Braido. “Per i pazienti, questo si traduce in meno ospedalizzazioni, più serenità e una vita più attiva”.
La BPCO è una patologia molto diffusa. Secondo The Lancet Respiratory Medicine, nel 2021 colpiva oltre 213 milioni di persone nel mondo, ma le stime più ampie parlano di oltre 300 milioni, considerando anche i casi non diagnosticati. In Italia, la situazione è simile: le malattie respiratorie croniche sono in aumento, ma spesso vengono riconosciute troppo tardi. I sintomi iniziali – tosse persistente, affanno, infezioni ricorrenti – vengono sottovalutati, e questo ritarda l’intervento.
La pubblicazione uscita nel marzo scorso sull’American Journal of Respiratory and Critical Care Medicine, ha confermato che la stabilizzazione della BPCO è un obiettivo clinico alla portata di tutti i pazienti. Gli stessi risultati sono stati presentati al congresso ERS 2025 di Amsterdam, evidenziando miglioramenti nella funzione polmonare, nella riduzione delle riacutizzazioni e nella qualità della vita.
“Gli studi ci dimostrano che la stabilità non è un concetto astratto”, commenta Marco Contoli, direttore della Pneumologia Territoriale AUSL Ferrara. “Abbiamo dati concreti che mostrano differenze significative tra le terapie disponibili. Ecco perché è fondamentale personalizzare il trattamento e collaborare con i medici di famiglia, che possono aiutare a individuare i pazienti che necessitano di cure specifiche”.
Anche l’industria farmaceutica sta facendo la sua parte. “Crediamo che la stabilità possa diventare un obiettivo concreto nella gestione della BPCO”, ha affermato Donato Cinquepalmi, Respiratory & CEP Medical Head di GSK. “Il nostro impegno è quello di tradurre i dati della ricerca in benefici reali per i pazienti”.
La BPCO è una malattia che colpisce soprattutto i fumatori o ex fumatori sopra i 40 anni, ma anche altri fattori – come l’esposizione a sostanze nocive, l’asma, la genetica e le condizioni socioeconomiche – possono contribuire. La gravità varia da forme lievi a molto gravi, e le riacutizzazioni – cioè i peggioramenti improvvisi dei sintomi – possono verificarsi in qualsiasi fase.
Le linee guida raccomandano di monitorare costantemente la funzione respiratoria, la qualità della vita e la frequenza delle riacutizzazioni. E ci sono forti evidenze che un trattamento adeguato possa migliorare la respirazione e rallentare il declino.
La triplice terapia studiata da GSK – una combinazione di due broncodilatatori e un corticosteroide – è la prima a essere disponibile in una sola somministrazione giornaliera. I suoi componenti sono già noti e utilizzati nella pratica clinica, ma la loro combinazione ha dimostrato di essere particolarmente efficace. “La triplice consente di migliorare i sintomi, ridurre il rischio di peggioramenti e offrire una maggiore protezione nel tempo”, spiegano gli esperti.
Secondo lo studio IMPACT, questa terapia ha portato a una riduzione significativa delle riacutizzazioni, a una migliore capacità respiratoria e a una qualità della vita superiore rispetto alla duplice terapia. Inoltre, ha ridotto il numero di ricoveri ospedalieri.
In sintesi, la BPCO non è più solo una malattia da gestire passivamente. Oggi, grazie alla ricerca e all’innovazione, è possibile puntare a una stabilità duratura. Per i pazienti, significa vivere con meno paura e più fiducia. Per i medici, significa avere strumenti più efficaci. Per tutti, significa guardare al futuro con una nuova consapevolezza.





